Il trasferimento di titolarità della farmacia (e di partecipazioni societarie) mortis causa: la successione.

Di Marino Mascheroni 28/01/2025

Il trasferimento di titolarità della farmacia (e di partecipazioni societarie) mortis causa: la successione


  • Principi civilistici
  • Accettazione e Rinuncia dell’eredità;
  • Accrescimento e Rappresentazione
  • Successione legittima e testamentaria
  • Comunione e divisione
  • La successione del farmacista imprenditore individuale
  • La successione del socio di società titolare

Principi civilistici

Occorre preliminarmente esporre alcune considerazioni civilistiche sull’istituto della successione in via generale per poi affrontare la tematica specifica del trasferimento “mortis causa” della Farmacia. Con il termine successione si designa il fenomeno del subentrare di un soggetto ad un altro nella titolarità di uno o più diritti. La successione mortis causa, lo dice il nome, presuppone la morte della persona fisica. Il complesso dei rapporti patrimoniali trasmissibili, attivi e passivi, facenti capo al de cuius al momento della sua morte, costituisce, anche nel linguaggio comune, la sua “eredità”, intesa in senso oggettivo. Quando una persona muore, il suo patrimonio, per effetto della morte, resta privo di titolare: un’altra persona, o eventualmente altre persone, subentra, o rispettivamente subentrano, al posto di quella che è defunta. Questo fenomeno si definisce apertura della successione. Secondo l’articolo 456 del Codice Civile, la successione si apre al momento della morte. Succedono nei rapporti patrimoniali attivi e passivi di una persona:

L’Accettazione dell’Eredità: Il chiamato all’eredità può accettarla secondo due modalità:

  • Accettazione semplice accettazione con beneficio d’inventario; quest’ultima è obbligatoria quando l’eredità è disposta a favore di minori od interdetti, minori emancipati ed inabilitati, persone giuridiche, associazioni, fondazioni ed enti non riconosciuti Se il chiamato non è in possesso anche di uno solo dei beni ereditari, il diritto ad accettare l’eredità si prescrive in 10 anni, tuttavia chi vi abbia interesse può chiedere (actio interrogatoria) che il giudice fissi, un termine entro il quale il chiamato dichiara se accetta o rinuncia all’eredità, trascorso tale termine senza che abbia fatto la dichiarazione, il chiamato perde il diritto di accettare. L’accettazione con beneficio d’inventario produce l’effetto di separare il patrimonio del defunto da quello dell’erede e di conseguenza la responsabilità dell’erede è limitata al valore dei beni ereditati; anche i creditori ereditari possono essere favoriti dall’accettazione con beneficio d’inventario in quanto essi non devono concorrere con i creditori dell’erede. La dichiarazione d’accettazione con beneficio d’inventario deve essere fatta mediante dichiarazione presentata ad un notaio ovvero al cancelliere del Tribunale competente per territorio; l’inventario deve essere redatto entro tre mesi dall’apertura della successione se l’erede è in possesso dei beni ereditari altrimenti sino al termine di prescrizione dell’accettazione.
  • La rinuncia all’eredità: La rinuncia all’eredità può essere fatta in qualsiasi momento (nel termine, comunque, dei tre mesi dall’apertura della successione se l’erede è in possesso dei beni ereditari) purché con dichiarazione presentata ad un notaio o al cancelliere del Tribunale territorialmente competente. È nulla la rinuncia fatta sotto condizione o termine o solo in parte. La rinuncia può essere revocata soltanto fino al momento in cui il diritto ad accettare l’eredità non è prescritto e se l’eredità non è stata già accettata da altro soggetto chiamato all’eredità. Con la dichiarazione di rinuncia, il chiamato all’eredità fa cessare gli effetti verificatisi nei suoi confronti a seguito dell’apertura della successione e rimane, pertanto, completamente estraneo alla stessa, con la conseguenza che nessun creditore potrà rivolgersi a lui per il pagamento dei debiti ereditari, né egli potrà esercitare alcuna azione ereditaria o acquistare alcun bene facente parte della successione.

È opportuno effettuare la rinuncia prima della presentazione della denuncia di successione o comunque prima di dividere l’eredità.

La rinuncia, a differenza dell’accettazione, è sempre revocabile; il rinunziante, se non è passato il termine di prescrizione di dieci anni, ha il diritto di accettare fino a che, in seguito al suo rifiuto, un chiamato di grado ulteriore non abbia a sua volta accettato. Il chiamato all’eredità perde la facoltà di rinunciare se sottrae i beni ereditari o se comunque ha venduto o donato beni di appartenenza del defunto.

Può essere fatta anche per agevolare altri coeredi con un unico passaggio di proprietà qualora l’eredità sia attiva.

  • La rappresentazione: È importante in tale sede fare un rapido accenno all’istituto della rappresentazione, il quale fa subentrare i discendenti legittimi o naturali nel grado del loro ascendente qualora quest’ultimo non possa o non vuole accettare l’eredità. I soggetti nei confronti dei quali opera la rappresentazione sono i discendenti dei figli legittimi, legittimati, adottivi o naturali del defunto e i discendenti di fratelli e sorelle del defunto. La rappresentazione è inoltre esclusa, nel caso di successione testamentaria, allorché il testatore abbia già provveduto con una sostituzione per l’ipotesi in cui il primo chiamato non possa o non voglia accettare.

La rappresentazione opera sia quando la chiamata a favore del così detto “rappresentato”, al momento dell’apertura della successione, non può più verificarsi (ad esempio: il fratello del de cuius gli è premorto: per rappresentazione è direttamente chiamato alla successione il nipote, figlio ex frate, sia quando vi sia stata una prima vocazione, ma questa sia caduta per indegnità o rinuncia. Quando si applica la rappresentazione la divisione si fa ai sensi dell’articolo 469 co. 2 del codice civile per stirpi: ossia i discendenti subentrano tutti in luogo del capostipite.  Qualora per esempio due figli del de cuius siano premorti a quest’ultimo, lasciando uno un solo figlio (A) ed il secondo due figli (B e C), l’eredità ove manchi il testamento, dovrà dividersi non in tre parti bensì in due, destinate alle due stirpi.

  • L’accrescimento: Si ha invece accrescimento nel caso di chiamata congiuntiva, in tale ipotesi, qualora uno dei chiamati non possa o non voglia accettare, ove non ricorrano le condizioni per farsi luogo alla “rappresentazione”, la quota devoluta al chiamato che non abbia potuto o voluto accettare si devolve a favore degli altri beneficiari della chiamata congiuntiva.

Così, ad esempio, se il de cuius ha lasciato l’asse ereditario a tre chiamati congiuntamente, qualora uno di essi non possa o non voglia accettare e non abbia discendenti, la sua quota si divide tra i due coeredi rimasti, i quali abbiano accettato, che pertanto, riceveranno, anziché 1/3 ciascuno dell’eredità, metà dell’asse ciascuno.

  • Successione legittima

Si ha successione legittima quando manca il testamento e i soggetti beneficiari sono nell’ordine: il coniuge, i discendenti legittimi e naturali, gli ascendenti, i collaterali, gli altri parenti entro il sesto grado, lo stato.

  • Successione testamentaria

ll testamento è l’atto personale e revocabile con il quale una persona dispone dei beni di sua proprietà o di parte di essi per il momento in cui avrà cessato di vivere oppure detta disposizioni di carattere anche non patrimoniale; deve essere sempre atto scritto e può’ essere impugnato nel termine di cinque anni dal giorno in cui è stata data esecuzione dello stesso. Una quota detta “di legittima” o “di riserva” è stabilita dalla legge a favore degli eredi così detti legittimari anche contro la volontà del testatore (per esempio nel caso di un nucleo familiare costituito dal coniuge e da due figli, ¼ dell’eredità oltre al diritto d’abitazione spetterà al coniuge e ½ ai figli in parti eguali, la parte residuale, detta quota disponibile, che nel caso esemplificato è di ¼ potrà essere devoluta a qualsiasi persona compresi gli eredi in aggiunta alla quota di legittima).

Il testamento può avere diverse forme:

Testamento Olografo – deve essere scritto per intero, datato e sottoscritto di mano dal testatore e nemmeno una piccola parte può essere scritta con mezzi meccanici, l’olografo può’ essere conservato dal testatore in qualsiasi luogo. Chiunque è in possesso di un olografo, appena ha notizia della morte del testatore, deve presentarlo ad un notaio per la pubblicazione.

Testamento Pubblico – è ricevuto da un notaio alla presenza di due testimoni, il testatore alla presenza dei testimoni dichiara al notaio le sue volontà che sono trascritte dal notaio stesso;

Testamento Segreto – può essere scritto dal testatore che lo sottoscrive in calce; può’ essere scritto anche da altri o con mezzi meccanici e dovrà essere sottoscritto dal testatore anche in ciascun mezzo foglio, unito o separato. Il testamento deve essere consegnato dal testatore in persona al notaio alla presenza di due testimoni.

  • Legato

Il legato è una disposizione testamentaria attraverso cui il testatore attribuisce ad uno o più beneficiari determinati, i legatari, beni o diritti a carico dell’eredità.

L’articolo 588 del codice civile dà infatti la possibilità a chi scrive un testamento di disporre “a titolo particolare” o “a titolo universale”. Quando la disposizione è a titolo particolare si parlerà di legato, mentre il beneficiario sarà chiamato “legatario”.

L’articolo 588 precisa come al fine di qualificare una disposizione come istituzione d’erede o legato non sia determinante la denominazione usata dal testatore.

Il legato è dunque quella disposizione mortis causa a titolo particolare attraverso la quale il testatore attribuisce al legatario un particolare diritto o lo fa subentrare in una posizione giuridicamente rilevante.

Le differenze fra erede e legatario sono molteplici, ed hanno riguardo sia ai presupposti concettuali che agli effetti. Ecco quelle fondamentali.

La prima differenza fra eredità e legato è concettuale. Il secondo, come sopra chiarito, ha ad oggetto un bene od un diritto determinato. Viceversa, l’istituzione di erede nomina un soggetto erede in una quota del patrimonio ereditario. Si tratta di disposizioni che hanno effetti distinti fra loro. In caso di eredità, infatti, nella maggior parte delle ipotesi, non vengono individuati i beni oggetto della disposizione. Questo avverrà invece, in via del tutto residuale, quando il testatore individui determinati beni in funzione di quota del patrimonio ereditario.

La seconda differenza ha riguardo i debiti gravanti sull’eredità. Mentre l’erede risponde proporzionalmente alla propria quota dei debiti gravanti sul patrimonio ereditario, il legatario no. Ciò significa, ad esempio, che, quando il testatore disponga per legato di un immobile acquistato con mutuo gravante sull’eredità, il mutuo sarà a carico degli eredi e non del legatario.

Il legatario non deve accettare, il chiamato deve accettare per essere erede

Un’ulteriore differenza fondamentale è rappresentata dalla circostanza che il legatario non debba accettare il legato per essere tale. Il legato, infatti, secondo quanto disposto dall’articolo 649 del codice civile, si acquista senza accettazione. Il legatario può naturalmente rinunciarvi, facendo venire meno l’acquisto. L’erede viceversa per essere tale, deve accettare l’eredità, espressamente o tacitamente.

  • La dichiarazione di successione

La dichiarazione di successione deve essere presentata entro un anno dalla morte del de cuius dai:

  • i chiamati all’eredità,
  • gli eredi che hanno accettato, espressamente o tacitamente, l’eredità,
  • i legatari testamentari,
  • gli eventuali rappresentanti legali degli eredi o dei legatari,
  • coloro che hanno il possesso dei beni di proprietà della persona scomparsa (di cui non si hanno più notizie dal almeno due anni), per la quale hanno richiesto al Tribunale di dichiararne l’assenza,
  • gli amministratori dell’eredità, nominati se il testamento designa un erede sotto condizione, cioè al verificarsi di un certo evento futuro e incerto,
  • il curatore dell’eredità giacente, nominato dal Tribunale per amministrare l’eredità in caso di rinuncia degli eredi non in possesso dei beni ereditari oppure nell’attesa venga dichiarata accettazione o meno per gli altri eredi,
  • gli esecutori testamentari, incaricati dal de cuiusper l’esecuzione delle sue volontà,

Contestualmente alla presentazione della dichiarazione di successione il soggetto deve provvedere al pagamento delle imposte ipotecarie, catastali, di bollo, delle tasse ipotecarie e dei tributi speciali in autoliquidazione, potendo ottenere dopo i controlli dell’Ufficio una ricevuta e copia semplice della dichiarazione di successione con gli estremi di registrazione, comunque inserita nel “cassetto fiscale” del contribuente.

A seguito della presentazione della dichiarazione di successione, del pagamento delle imposte e del rilascio dell’attestato da parte dell’Agenzia delle Entrate, gli eredi, divenuti tali per aver accettato l’eredità, possono ottenere la liquidazione e la ripartizione di quanto depositato nei conti correnti di cui era titolare il defunto, mentre per i beni immobili la denuncia di successione è trasmessa al Catasto e alla Conservatoria dall’Agenzia delle Entrate per l’aggiornamento dei dati.

Quote spettanti senza testamento

Divisione delle quote ereditarie con e senza testamento

Quote spettanti agli eredi legittimari con l’indicazione della porzione disponibile al testatore

Eredi legittimari Quote di riserva o legittime Porzione disponibile
solo il coniuge ½ del patrimonio ½ del patrimonio
coniuge e un figlio 1/3 al figlio e 1/3 al coniuge 1/3 del patrimonio
coniuge e più figli ¼ al coniuge e ½ ai figli da dividersi in parti uguali ¼ del patrimonio
solo un figlio senza coniuge ½ del patrimonio ½ del patrimonio
due o più figli senza coniuge 2/3 da dividersi in parti uguali 1/3 del patrimonio
ascendenti senza coniuge 1/3 da dividersi in parti uguali 2/3 del patrimonio
ascendenti con coniuge ½ al coniuge e ¼ agli ascendenti da dividersi in parti uguali ¼ del patrimonio
  • L’ accettazione con beneficio di inventario, la rinuncia, comunione e divisione (approfondimenti)

L’accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario consente di distinguere il patrimonio del defunto da quello dell’erede: in questo modo l’erede risponderà di eventuali debiti del defunto soltanto con il patrimonio ereditato.  Quindi nel caso di farmacia ereditata fortemente indebitata l’erede rispondere solo col patrimonio aziendale e non con il proprio. L’accettazione beneficiata non è facoltativa, ma obbligatoria per:

  1. i minori o gli interdetti (art. 471 c.c.);
  2. i minori emancipati o gli inabilitati (art. 472 c.c.);
  3. le persone giuridiche, le associazioni, fondazioni e gli enti non riconosciuti, escluse, però, le società commerciali (art. 473 c.c.).

L’inventario dell’eredità è un passaggio obbligato per l’accettazione con beneficio di inventario. Esso consiste nella stima dell’intero patrimonio ereditario e nella successiva scrittura di un documento contenente l’elencazione e descrizione dettagliata di tutti gli elementi, sia attivi sia passivi, che compongono l’eredità. Per legge l’inventario dell’eredità può essere perfezionato solo da un pubblico ufficiale, su nomina del soggetto interessato o del Tribunale. In particolare, il chiamato all’eredità o anche tutti gli eredi possono nominare un Notaio per la redazione dell’inventario ovvero ci si potrebbe rivolgere al Tribunale del luogo dell’ultimo domicilio del defunto per chiedere la nomina di un cancelliere che lo rediga.

Il beneficio decade quando si voglia vendere dei beni del defunto, appartenenti all’asse ereditario e non si richieda l’autorizzazione per la vendita al Tribunale delle successioni, ossia il tribunale dell’ultimo domicilio del defunto ai sensi dell’art. 747 del codice di procedura civile. Altre ipotesi di decadenza si verificano quando vi sono delle dichiarazioni infedeli per quel che concerne la redazione dell’inventario (si pensi al caso in cui si ometta l’esistenza di determinati beni). Con riferimento ai soggetti obbligati ad accettare l’eredità con beneficio di inventario, in virtù dell’obbligo imposto dalla legge, non potranno mai decadere dal beneficio, per esempio, i minori sino al compimento della maggiore età.

La rinuncia all’eredità è l’atto con il quale il chiamato all’eredità dichiara di non volerla accettare, ad esempio perché i debiti della farmacia in titolazione al defunto sono superiori ai crediti. In tale eventualità egli vi deve rinunciare espressamente per mezzo di una dichiarazione ricevuta dal Notaio o effettuata dal Cancelliere del Tribunale del circondario in cui si è aperta la successione, altrimenti si considera come non avvenuta. La rinuncia, a differenza dell’accettazione, è sempre revocabile; il rinunziante, se non è passato il termine di prescrizione di dieci anni, ha il diritto di accettare fino a che, in seguito al suo rifiuto, un chiamato di grado ulteriore non abbia a sua volta accettato. Il chiamato all’eredità perde la facoltà di rinunciare se sottrae i beni ereditari o se comunque ha venduto o donato beni di appartenenza del defunto.

L’effetto più significativo (e senza entrare in ulteriori particolarismi complessi) della rinunzia è nelle successioni legittime il conseguente accrescimento delle singole parti spettanti a coloro che avrebbero con lui concorso in caso di accettazione (coeredi legittimi per esempio nella successione di un padre titolare di farmacia con due figli, uno rinunziante); naturalmente se il rinunziante è l’unico chiamato, l’eredità si devolve a coloro ai quali spetterebbe nel caso egli mancasse (art. 522) secondo quanto stabilito dall’art. 566. (per esempio, nipoti in linea retta) salvo il diritto di rinunziare anch’essi.

  • La comunione ereditaria e la divisione

Si ha comunione ereditaria nel caso assai frequente allorché al defunto succedono più eredi, i quali diventano comproprietari dei beni e contitolari dei diritti e dei debiti che fanno parte dell’eredità. Dunque, se vi sono più eredi (ad esempio i figli ed il coniuge), ciascuno dei coeredi diventa contitolare di una quota dei beni e dei rapporti appartenenti al defunto. Ovviamente il de cuius può stabilire per testamento una divisione preordinata per esempio lasciando le quote di una farmacia al figlio e beni immobili agli altri eredi, fatti salvi chiaramente i diritti di legittima.

È previsto un diritto di prelazione, ossia un diritto di precedenza in capo agli altri coeredi. L’art. 732 c.c. prevede infatti che il coerede, il quale intenda alienare la propria quota ad un estraneo, sia tenuto a notificare la proposta di alienazione con indicazione del prezzo, agli altri coeredi, i quali possono far valere la propria volontà di acquistare la quota con precedenza rispetto ad un estraneo.

La comunione ereditaria si scioglie attraverso un procedimento di divisione, che consente al coerede di diventare unico proprietario dei beni che gli sono assegnati ed il cui valore corrisponde a quello della sua quota ereditaria. La divisione ereditaria può essere:

Divisione contrattuale

Si ha quando i coeredi concordano sull’effettuazione della divisione e sul suo contenuto, in questo caso la divisione si realizza attraverso un accordo tra i coeredi che prende il nome di contratto di divisione. Il contratto di divisione deve essere stipulato tra tutti i coeredi.

Divisione giudiziale

Si ha quando i coeredi non riescono ad accordarsi: in tal caso dovranno rivolgersi al giudice.

Divisione testamentaria

Si ha quando è lo stesso defunto ad aver stabilito nel testamento le modalità con cui effettuare la divisione tra i coeredi.
In particolare, il testatore:

  • può stabilire particolari regole per la formazione delle porzioni che spettano a ciascun coerede, ad esempio stabilendo che ogni porzione sia composta da un certo numero di beni mobili o immobili;
  • può disporre che la divisione venga effettuata secondo la stima di un terzo da lui stesso indicato, che prende il nome di arbitratore;
  • può dividere direttamente tra i coeredi i beni che compongono il suo patrimonio.

ESEMPIO *

«Revoco ogni mia disposizione testamentaria precedente. Nomino miei eredi i miei figli, Tizio, Caia e Mevia. Assegno i miei beni come segue. La mia quota degli appartamenti di Via Roma, a Mevia e Caia. La villa di Via Garibaldi a Mevia e Caia. Il complesso immobiliare di Via Cavour a Tizio. Le quote della Farmacia Alfa S.r.l. a Tizio. Le quote di mia proprietà della Farmacia Beta s.r.l. e della società Gamma s.n.c. a Tizio. Ai fini del calcolo delle quote di riserva dichiaro di aver donato in vita a mia figlia Caia la somma di circa 300.00,00 euro. Il rimanente mio patrimonio va diviso in parti uguali tra gli eredi. Dispongo che i fondi depositati in banca siano utilizzati per riequilibrare le quote ereditarie reintegrandole nel caso in cui le mie disposizioni comportino una lesione delle quote di riserva».

  • Il divieto dei patti successori

La norma di cui all’art. 458 c.c. sancisce la nullità dei patti successori e, quindi, vieta che si possa disporre di un’eredità propria o altrui per convenzione.

Sono privi di efficacia gli accordi medianti i quali un soggetto:-dispone della propria successione (c.d. patti costitutivi o istitutivi);
-dispone di un’eredità ancora non aperta (c.d. patti dispositivi o pacta corvina);
-rinuncia alla medesima (c.d. patti abdicativi).

Il divieto, in modo particolare dei patti istitutivi, ha lo scopo di garantire l’assoluta revocabilità del testamento ovvero siano tali da anticipare effetti che possono mutare all’apertura della successione.

Quindi sono nulli tutti gli accordi:

  • Con i quali l’imprenditore ed i suoi successibili si volessero accordare circa la ripartizione del patrimonio dell’imprenditore (immobili, azienda, ecc.) dopo la sua morte.
  • Con i quali i futuri eredi di un imprenditore si accordino circa la suddivisione dei beni dell’imprenditore ancora in vita.
  • Con i quali uno o più potenziali eredi rinuncino da subito ad una eredità non ancora aperta o a far valere le proprie ragioni a fronte di disposizioni lesive della propria quota di legittima.
  • La successione del farmacista imprenditore individuale

Art. 7 Legge 362/1991 co.9- A seguito di acquisto a titolo di successione di una partecipazione in una società di cui al comma 1, qualora vengano meno i requisiti di cui al secondo periodo del comma 2, l’avente causa cede la quota di partecipazione nel termine di (sei mesi dalla presentazione della dichiarazione di successione).

Il termine di cui al comma 9 si applica anche alla vendita della farmacia privata da parte degli aventi causa ai sensi del dodicesimo comma dell’articolo 12 della legge 2 aprile 1968, n. 475.

A seguito di trasferimento per causa di morte di una farmacia esercitata in forma di ditta individuale, gli eredi (o l’erede in caso di unico beneficiario) possono manifestare, come si è detto, la volontà di continuare l’attività esercitata dal farmacista deceduto per il periodo di legge (sei mesi dalla presentazione della dichiarazione di successione) attraverso una forma collettiva.

Come rilevato in dottrina, la morte del titolare determina la cessazione dell’impresa individuale e il sorgere di una comunione ereditaria, la quale (assume) i caratteri della società di fatto con l’esercizio in comune, fra gli eredi, dell’attività commerciale.

L’accettazione dell’eredità costituita da un’azienda commerciale non fa sorgere di per sé la qualifica di imprenditore nelle persone degli eredi, i quali, semmai, possono diventare imprenditori successivamente, in seguito all’esercizio effettivo e professionale dell’attività economica.

Tal «comunione» costituita tra gli eredi di farmacia può essere regolarizzata, cioè, trasformata per il periodo di legge in una delle forme societarie previste dal codice civile. Durante o prima del decorso del termine la comunione ereditaria sulla farmacia deve essere sciolta.
Ci troviamo di fronte a tre possibilità:

Gli eredi cedono a terzi la titolarità della farmacia prima della scadenza del periodo, pena la decadenza;
La farmacia viene assegnata con atto di divisione ad uno degli eredi abilitato alla titolarità;
La farmacia viene assegnata a più eredi (compatibili ex art. 7 e 8 legge 362/1991) che regolarizzano la comunione in una società prevista dalla normativa sulla farmacia

  • La successione del socio di società titolare di farmacia

Art. 7 legge 362/1991 co 9-A seguito di acquisto a titolo di successione di una partecipazione in una società di cui al comma 1, qualora vengano meno i requisiti di cui al secondo periodo del comma 2, l’avente causa cede la quota di partecipazione nel termine di (sei mesi dalla presentazione della dichiarazione di successione)

  • CONCETTO MANCANZA DEI REQUISITI DI CUI AL SECONDO PERIODO DEL CO. 2
  • SOCIO SNC
  • SOCIO SAS
  • SOCIO SOC. DI CAPITALI
  • CLAUSOLE COMUNI
  • La successione del socio di società titolare di farmacia (snc e sas)

In tal caso si applica la disposizione di cui all’articolo 2284 del codice civile che afferma:

salva contraria disposizione del contratto in caso di morte di uno dei soci gli altri”

  • devono liquidare la quota agli eredi
  • a meno che preferiscano sciogliere la società
  • ovvero continuare il rapporto sociale con gli stessi e questi vi acconsentano.”

la norma evidenzia che l’ingresso degli eredi nella società non si attua automaticamente in via di trasmissione ereditaria, ma richiede

  1. il consenso di tutti i soci superstiti (art.2252 c.c.)
  2. il consenso degli eredi stessi (cioè, la loro dichiarazione di volere entrare nella società e non essere liquidati).

L’art. 2284 c.c. fa salva «la contraria disposizione del contratto sociale»

Esistono nella prassi alcune clausole così dette di «continuazione della società con gli eredi» che mitigano il principio espresso dall’art. 2284 c.c.

  1. clausola di continuazione facoltativa. Il contratto sociale (patti societari) può imporre ai soci di continuare la società con gli eredi del socio defunto, i quali conservano ben tuttavia, la facoltà di aderirvi o meno.
  2. clausola di continuazione obbligatoria: Il contratto sociale (patti societari) può imporre ai soci di continuare la società con gli eredi del socio defunto.
  3. clausola successoria: tali clausole differiscono da quelle obbligatorie perché l’accettazione dell’eredità comporta in tal caso l’assunzione automatica della qualità di socio, senza alcuna necessità di un’esplicita adesione al contratto Sociale.  La giurisprudenza ha ritenuto la piena validità della clausola di continuazione automatica (oltre che, di quella obbligatoria) poiché l’erede può sempre rifiutare l’ingresso nella società con la rinuncia all’eredità: del resto, le quote sociali altro non sono, in questi casi, che una parte dell’asse ereditario del socio defunto.

Per il socio di società in accomandita semplice valgono le seguenti norme regolatorie:
socio accomandatario —-valgono le stesse regole del socio di snc. Per il socio accomandante — ai sensi dell’art. 2322, c. 1, c.c., “la quota di partecipazione del socio accomandante è trasmissibile (automaticamente) per causa di morte “;

Sono comunque ammesse le clausole derogatorie previste per gli eredi di soci di snc.

  • La successione del socio di società titolare di farmacia (S.r.l.)

La legge, prevede che le partecipazioni in società a responsabilità limitata siano liberamente trasmissibili non solo per atto tra vivi, ma anche a causa di morte del socio. Ne consegue che gli eredi di un socio di S.r.l. di regola succedono al socio defunto, acquisendo la sua partecipazione.

Anche per le società a responsabilità limitata lo statuto può prevedere clausole deroganti il principio generale.

Per l’applicazione di dette clausole è necessario che lo statuto della S.r.l. preveda espressamente delle limitazioni alla libera trasferibilità delle quote, in caso di morte del socio, agli eredi o ai legatari del defunto. Tali possono essere le clausole statutarie che stabiliscono, ad esempio:

  • l’intrasferibilità delle quote, assoluta o relativa (subordinata al gradimento da parte degli organi sociali, di soci o di terzi),
  • la consolidazione della quota del defunto in capo agli altri soci,
  • l’obbligo di acquisto della quota del defunto da parte degli altri soci. Queste clausole, però, se possono impedire o limitare il subingresso degli eredi nella compagine sociale della S.r.l., in nessun caso potrebbero avere l’effetto di impedire agli eredi di ottenere la liquidazione della quota del defunto in alternativa all’acquisto della qualità di socio.
  • Principio generale

Il dictum «qualora vengano meno i requisiti di cui al secondo periodo del comma 2 l’avente causa cede la quota di partecipazione nel termine di (sei mesi dalla presentazione della dichiarazione di successione) rimasto nel testo normativo e una volta riferito alla mancanza del requisito della idoneità alla professione, ora, alla luce dell’ingresso di soci non farmacisti nelle compagini sociali deve intendersi relativo alla sussistenza delle citate incompatibilità di cui all’art. 7 e 8 Legge 362 e l’avente causa deve cedere la quota di partecipazione nel termine di sei mesi dalla presentazione della dichiarazione di successione allorché  si trovi e continui a trovarsi senza averle rimosse in una delle situazioni di incompatibilità  previste

Riassumendo e approfondendo con la modificazione dell’art. 7 della Legge 362/1991 che ammette la titolarità della farmacia delle società di capitali (in particolar modo le società a responsabilità limitata) si pone, tra i molti il problema della diversa disciplina della successione mortis causa delle partecipazioni sociali. Nel caso di morte di un socio di una società a responsabilità limitata si prevede che le partecipazioni in società a responsabilità limitata siano liberamente trasmissibili con la conseguenza che gli eredi di un socio di S.r.l. di regola succedono al socio defunto, acquisendo la sua partecipazione. L’art. 2284 C.C al contrario prevede, come visto, che nelle società personali, la morte del socio determina la cessazione del rapporto sociale e l’intuitus personae giustifica una prevalenza dell’interesse personale del socio rimasto in vita ad impedire o meno la modificazione del rapporto che fu alla base costitutiva societaria con il socio premorto con la conseguenza di consentire al primo il diniego della continuazione societaria con gli eredi del secondo. Nel caso di società titolare di farmacia esercitata in forma si società di capitali, la trasferibilità a causa di morte della partecipazione prevede come detto un ingresso “automatico” degli eredi, in quanto i loro  diritti  sono comunque tutelati e non solo sul piano patrimoniale, in quanto è loro consentito di entrare a far parte dell’organizzazione societaria; Tuttavia, i soci superstiti al socio defunto come nelle società di persona possono avere interesse ad evitare che nella compagine sociale subentrino gli eredi del de cuius, soprattutto in realtà numericamente modeste come accade nelle farmacie. Per rendere concreto tale interesse è necessario che l’atto costitutivo della S.r.l. o, meglio, lo statuto disciplinante, preveda espressamente delle limitazioni alla libera trasferibilità delle quote, in caso di morte del socio, agli eredi o ai legatari del defunto. Tali possono essere le clausole statutarie che stabiliscono, ad esempio:

  • l’intrasferibilità delle quote, assoluta o relativa (subordinata al gradimento da parte degli organi sociali, di soci o di terzi):

Le partecipazioni sono liberamente trasferibili per atto tra vivi e per successione a causa di morte, salvo contraria disposizione dell’atto costitutivo.”.

“Le partecipazioni sono liberamente trasferibili per atto tra vivi e per successione a causa di morte, con deliberazione di almeno il 75% del capitale sociale.”.

In sostanza, a seguito dell’apertura della successione di un socio di società di capitali, andrà innanzitutto verificata l’eventuale esistenza di clausole statutarie limitative della circolazione mortis causa; in mancanza, l’erede (previa accettazione dell’eredità) diventerà titolare delle partecipazioni, acquistando peraltro la legittimazione all’esercizio dei diritti sociali solo a seguito dell’adempimento delle suindicate formalità prescritte dalla legge.

Queste clausole, però, se possono impedire o limitare il subingresso degli eredi o legatari nella compagine sociale della S.r.l., in nessun caso potrebbero avere l’effetto di impedire agli eredi di vedersi liquidare il valore della quota ereditata.

  • Approfondimento: La liquidazione del valore della quota ereditata

Per quanto riguarda le modalità della liquidazione della quota, esse sono disciplinate
dall’art. 2289 c.c.:

Nei casi in cui il rapporto sociale si scioglie limitatamente a un socio, questi o i suoi eredi hanno diritto soltanto ad una somma di danaro che rappresenti il valore della quota. La liquidazione della quota è fatta in base alla situazione patrimoniale della società nel giorno in cui si verifica lo scioglimento. Se vi sono operazioni in corso, il socio o i suoi eredi partecipano agli utili e alle perdite inerenti alle operazioni medesime. Salvo quanto è disposto nell’art. 2270, il pagamento della quota spettante al socio deve essere fatto entro sei mesi dal giorno in cui si verifica lo scioglimento del rapporto.

Si pone a carico della società l’obbligo di liquidare la quota stessa, e a carico degli amministratori quello di presentare il rendiconto della società al fine di consentire la formazione, in nome e per conto della società, di una situazione patrimoniale straordinaria aggiornata, ai fini dell’assolvimento dell’onere della società di provare il valore della quota Per poter effettuare il calcolo della liquidazione della quota in favore degli eredi del socio defunto deve tenersi conto dell’effettiva consistenza economica dell’azienda sociale all’epoca dello scioglimento del rapporto, comprendendovi anche l’avviamento (si suggerirebbe che l’inclusione dell’avviamento, valore di rilevanza in una farmacia, sia ben espresso nello statuto sociale, vista la sussistenza della possibilità che esso sia escluso nel conteggio con patto contrario) : l’onere di provare il valore della quota del socio defunto, ai fini della liquidazione della stessa in favore degli eredi, incombe ai soci superstiti e non agli eredi del socio defunto, in quanto solo i soci rimasti in società, e non certo gli eredi del de cuius, sono in grado, con la produzione di scritture contabili della società, di dimostrare quale era la situazione patrimoniale nel giorno in cui si è verificata la morte del socio e quali sono gli utili e le perdite inerenti alle operazioni in corso in quel momento. In caso di mancato o parziale assolvimento di tale onere il giudice di merito può disporre consulenza tecnica d’ufficio la quale esprima, anche sul fondamento dei documenti prodotti, una valutazione per la liquidazione della quota ed apprezzarne liberamente il parere senza necessità, quando ne faccia proprie le conclusioni, di una particolareggiata motivazione o di un’analitica confutazione delle eventuali diverse conclusioni formulate dai consulenti di parte. (Cass. Civ. Sez. II n. 5809/2001).

Marino Mascheroni

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