LA VALUTAZIONE DI QUOTE DI PARTECIPAZIONE IN SOCIETA’ TITOLARI DI FARMACIA OGGETTO DI PRECEDENTE DONAZIONE AI FINI DELLA VALUTAZIONE DELLA LESIONE DI LEGITTIMA

Di Marino Mascheroni 05/02/2025

LA VALUTAZIONE DI QUOTE DI PARTECIPAZIONE IN SOCIETA’
TITOLARI DI FARMACIA OGGETTO DI PRECEDENTE DONAZIONE AI
FINI DELLA VALUTAZIONE DELLA LESIONE DI LEGITTIMA

Nella prassi professionale molto frequentemente ci si trova di fronte al problema della valutazione delle quote di partecipazione al capitale che siano state oggetto di donazione, al fine di verificare se, deceduto, il donante, la donazione abbia determinato la lesione del diritto dei legittimari a conseguire, ai sensi degli artt. 536 e ss, la propria quota di legittima.
Tutto ciò è particolarmente ricorrente nel caso di donazione di quote di società titolare di farmacia, in quanto il tema non riguarda solo le donazioni tipiche, ma anche le donazioni indirette che sono gli atti che producono gli effetti economici propri della donazione, pur non essendo donazioni sotto l’aspetto tecnico giuridico.
Esempi tipici sono la compravendita di partecipazione a prezzo simbolico o inferiore al valore di mercato, all’aumento di capitale che venga liberato con conferimenti non proporzionali e soprattutto nel caso di conferimento aziendale a valori neutrali.
In quest’ultimo caso non è raro assistere al conferimento di una farmacia dal titolare individuale ad una società neocostituita laddove il conferente titolare unico apporta a
liberazione delle proprie quote la farmacia ai “valori di libro” et indi senza considerare l’intangible asset dell’avviamento mentre l’altro socio a liberazione delle proprie quote una proporzionale somma in denaro che anch’essa non contempla il valore di avviamento. Per la normativa fiscale attualmente in vigore l’operazione di conferimento non configura un’operazione di cessione; infatti, il regime di neutralità fiscale disciplinato dall’art. 176 del T.U.I.R. rende irrilevante l’eventuale registrazione contabile del complesso aziendale trasferito a valori diversi rispetto a quelli fiscalmente riconosciuti. Così operando il socio apportante denaro si troverà ad essere titolare di una quota nella società conferitaria del valore più elevato di quello versato in quanto la proporzionalità è stata calcolata sul valore scevro dall’avviamento che in una farmacia rappresenta la componente maggiormente corposa in termini di valore: siamo di fronte ad una donazione indiretta tra il conferente l’azienda e il nuovo socio.
L’argomentazione che ivi si vuole trattare riguarda la valutazione delle quote partecipative oggetto proprio di precedenti donazioni ai fini della valutazione della lesione di quota legittima in caso di morte del donante.
Entra in gioco l’istituto della collazione ereditaria.
La collazione è l’atto col quale taluni soggetti (figli legittimi e naturali e loro discendenti legittimi e naturali, nonché il coniuge), che abbiamo accettato l’eredità, conferiscono nell’asse ereditario quanto hanno ricevuto dal defunto in vita per donazione.
La collazione è obbligatoria per legge salvo che il donatario ne sia stato dispensato dal donante.
Presupposto perché operi l’obbligo della collazione è che il donatario accetti l’eredità.
Ad esempio, se un vedovo con due figli, muore lasciando beni per 100, in vita aveva effettuato una donazione a favore del figlio A per 50, mentre nessuna donazione era stata fatta a favore del figlio B. In questo caso potranno verificarsi le seguenti situazioni:

a. Se il figlio A accetta l’eredità, egli sarà tenuto a restituire alla massa ciò che ha ricevuto in vita dal testatore (50 ), formando così un patrimonio da dividere con il proprio fratello pari a 150. In tal caso, ai sensi dell’art. 566 c.c., il patrimonio dovrà dividersi in parti eguali e quindi il figlio A otterrà in definitiva un valore di 75 [(100+50):2)].
b. Se invece il figlio A decidesse di non accettare l’eredità del padre egli potrà trattenere la donazione a lui fatta (50), ma l’eredità verrà interamente devoluta al fratello B, il quale riceverà 100. Si tratta in questo caso di un conferimento reale, e quindi non va confuso con l’operazione, puramente fittizia, che consiste nel sommare ciò che è rimasto dal patrimonio a ciò che è stato regalato in vita.
Riassumendo l’istituto della collazione ereditaria trova la propria fonte nell’articolo 737 del codice civile. La norma stabilisce che: “I figli e i loro discendenti ed il coniuge che concorrono alla successione devono conferire ai coeredi tutto ciò che hanno ricevuto dal defunto per donazione direttamente o indirettamente, salvo che il defunto non li abbia da ciò dispensati.
La dispensa da collazione non produce effetto se non nei limiti della quota disponibile.”
Si tratta di un’operazione preliminare alla divisione ereditaria a cui sono tenuti i prossimi congiunti del defunto: coniuge, figli e loro discendenti. Il significato della collazione è di riequilibrare in sede di apertura della successione gli assetti patrimoniali alterati dalle donazioni poste in vita dal de cuius.
Con questo istituto, pertanto, il legislatore vuole ripristinare l’uguaglianza di trattamento nella ripartizione del patrimonio ereditario fra i familiari. L’istituto va a beneficio degli eredi che durante la vita del de cuius non hanno ottenuto beni e diritti in donazione.
Ai sensi dell’articolo 737 del codice civile la collazione ereditaria è quindi l’atto con cui i figli, i loro discendenti e il coniuge del defunto, conferiscono alla massa ereditaria tutti i beni mobili e immobili ricevuti a titolo di donazione dal defunto quando questi era in vita. Le donazioni che il defunto ha fatto in vita, infatti, possano incidere in maniera significativa sul complesso dei beni lasciati al momento del decesso. Conseguentemente, il legislatore ha previsto la non neutralità a tal fine sul calcolo delle porzioni di beni che spettano a ciascuno degli eredi.
La collazione è un istituto relativo alla divisione ereditaria, e serve a individuare la massa ereditaria che si deve dividere, facendovi rientrare anche quei beni che vi sono usciti per effetto delle donazioni che il defunto ha fatto in vita. La collazione è dunque l’atto giuridico con il quale colui che ha ricevuto i beni per donazione conferisce nell’asse ereditario quanto ha ricevuto, al fine di formare le “porzioni” nel momento antecedente alla divisione.
Infine, ai sensi e per gli effetti dell’art. 750 c.c. la collazione di beni mobili (quote di partecipazione) può essere fatta unicamente per imputazione.
La valutazione deve essere fatta al momento dell’apertura della successione.
Ritornando al tema di codesto saggio tutto si vuole incentrare sul disposto di cui al richiamato art. 750 c.c.: La loro valutazione deve essere fatta al momento dell’apertura della successione. La giurisprudenza si è sempre espressa nel senso che la collazione della donazione di azienda o di quote di partecipazione societarie debba essere fatta secondo il rigoroso dettato legislativo e, cioè, per il loro valore al tempo dell’apertura della successione.
Più nel dettaglio, è stato di recente confermato dalla Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 2505/2022 che, per la quota societaria, la collazione è effettuata con riferimento al disposto normativo di cui al citato articolo 750 cod. civ. avente ad oggetto i beni mobili e, quindi, per imputazione poiché, non conferendo ai soci un diritto reale sul patrimonio societario riferibile alla società – che è soggetto distinto dalle persone dei soci – essa attribuisce un diritto personale di partecipazione alla vita societaria (in tal senso, anche Cassazione Civile, sentenza n. 10756/2019). In questo specifico caso, quindi, dovrà procedersi ad imputazione sulla base del valore che la quota ha al tempo di apertura della successione (Cassazione Civile, sentenza n. 20258/2014). La valutazione della quota sociale deve essere operata ai sensi dell’articolo 2289 cod. civ., tenuto conto del valore dell’avviamento e, secondo una stima di ragionevole prudenza, della futura redditività dell’azienda, considerato che la norma, facendo riferimento allo scioglimento del rapporto nei confronti di un solo socio, presuppone “la continuazione dell’attività sociale che non può riferirsi solo ad un compendio statico e disaggregato di beni, ma deve essere valutata anche avuto riguardo alla sua fisiologica e naturale propensione verso il futuro” (in tal senso, Cassazione Civile, sentenza n. 5449/2015, Cassazione Civile, sentenza n. 7595/1993 e Cassazione Civile, sentenza n. 4210/1992). A tale proposito occorre rammentare come, anche secondo la giurisprudenza tributaria, se la cessione di quote di partecipazioni sociali non consente all’Amministrazione di prendere in considerazione l’avviamento – che consiste, come noto, nell’attitudine di un complesso aziendale a conseguire risultati economici diversi da quelli raggiungibili attraverso
l’utilizzazione isolata dei singoli elementi che lo compongono –, lo stesso debba, tuttavia, essere preso in esame nel caso di sostituzione nell’impresa di un soggetto diverso attraverso il trasferimento dell’intera azienda, o di un suo ramo, ad altre società o ad altro imprenditore individuale, ovvero mediante concentrazione dell’intero capitale nella persona di un unico socio, ipotesi questa che si verifica in caso di cessione delle quote societarie (Cassazione Civile, sentenza n. 25262/2017). Con riferimento, invece, alla collazione in caso di cessione della quota di azienda – che rappresenta la misura della contitolarità del diritto reale sulla “universitas rerum” dei beni di cui si compone – con la richiamata ordinanza n. 2505/2022 i giudici di legittimità hanno confermato che la medesima deve essere compiuta secondo le modalità indicate dall’articolo 746 cod. civ. in tema di beni immobili. Secondo tale diposizione, la collazione di un bene immobile si effettua con il rendere il bene in natura o con l’imputarne il valore alla propria porzione, a scelta di chi conferisce, sicché, ove si proceda per imputazione, “deve aversi riguardo al valore non delle singole cose, ma a quello assunto dalla detta azienda, quale complesso organizzato, al tempo dell’apertura della successione” (Cassazione Civile, sentenza n. 502/2003). Nella fattispecie analizzata dalla Suprema Corte, è stato ritenuto corretto, ai fini dell’accertamento del valore di una cessione di quote societarie, fare riferimento al valore dell’azienda rientrante nel patrimonio della  società onde risalire a quello delle quote, occorrendo all’uopo stimare le varie componenti del patrimonio societario, tra le quali rivestiva valore determinante l’azienda di farmacia, al cui esercizio la società era deputata. (Cosi Ferrajoli: La collazione nella cessione di quote societarie e d’azienda 2022) La valutazione ai fini di una eventuale lesione di legittima di un bene ontologicamente in “movimento nel valore” appare quindi certamente meritevole di uno scontamento dalla regola generale temporale valutativa. La farmacia o le quote partecipative di società titolari come in qualsiasi altra azienda possono ben essere oggetto di significative trasformazioni nel corso del tempo a cagione di operazioni straordinarie, trasformazioni in genere, ampliamento dell’attività sociale, maggiori capacità imprenditoriali del donatario rispetto al donante fino alla estinzione che potrebbe avvenire con la vendita dell’azienda o il fallimento societario. Chi ha ricevuto le partecipazioni in donazione è esposto al grave rischio di vedere attribuito all’azienda o alle partecipazioni) un maggior valore estrinseco e i coeredi di contro sono esposti al rischio di vedere attribuito un valore nullo all’azienda estinta anche a causa dell’incapacità gestionale del loro congiunto e donatario le partecipazioni aziendali, vieppiù che nella realtà della farmacia le regole estimative a differenza di altre azienda sono estremamente soggette a fluttuazioni significative nel breve periodo. La situazione appare quindi ingarbugliata necessitante di una regola che possa conferire a casi similari la certezza su questioni che hanno la propria proiezione attuativa inevitabilmente in un tempo futuro a quello in cui vengono compiuti.
Il ragionamento condivisibile in un ambito ove molto spesso e in particolar modo nel mondo della farmacia ove dal versante pratico il confine tra cessione di azienda e cessione di partecipazioni appare estraneamente sottile è quello suggerito recentemente da una autorevole dottrina (A. Busani – D. Rossi. Stima di Valore dell’azienda donata ai fini della riunione fittizia).Il suggerimento è quello di “fotografare” l’azienda al momento in cui la donazione venne stipulata ipotizzando però che quella fotografia rappresenti ancora l’azienda donata al momento dell’apertura della successione mortis causa del donante, cioè a meglio dire si deve valutare quel perimetro che esso ipoteticamente avrebbe avuto se fosse un perimetro sussistente al momento dell’apertura della successione. Il valutatore che prende il testimone dal giurista deve procedere quindi secondo un metodo che (A. Busani): a) ha il pregio di essere coerente ed aderente al dettato legislativo che impone la valutazione de quo al tempo dell’apertura della successione;
b) ha il pregio di essere aderente ai principi in tema di collazione che la legge esprime e cioè il principio secondo il quale il valore del bene donato deve essere depurato delle migliorie o dai deterioramenti cagionati dal donatario o dal caso;
c) ha il pregio di non essere condizionato da vicende successive alla donazione quali cessioni, conferimenti, operazioni straordinarie;
d) ha il pregio di non essere condizionato dal rilievo che il bene possa essere venduto successivamente alla donazione ad un prezzo molto maggiore o inferiore rispetto a quello che aveva al momento della donazione in quando andrà o andrebbe considerato il valore dell’ipotetico patrimonio aziendale materiale ed immateriale con la sua ipotetica redditività e il suo ipotetico avviamento ipoteticamente sussistente al momento dell’apertura della successione.
La difficoltà sta tutta nella ricerca della tecnica valutativa che deve portare ad indicizzare e il valore dell’azienda donata sino alla successione e fatti salvi gli incrementi apportati dal donatario. Ebbene, il problema principale nella ricerca di tale valore riguarda la difficoltà di capire come trattare giuridicamente l’eventuale incremento di valore dell’azienda, verificatosi tra la donazione e l’apertura della successione. Esso, infatti, potrà ben dipendere dalla potenzialità intrinseca del complesso aziendale e del relativo avviamento, ma è facile che possa originare dall’abilità del donatario e dai suoi apporti positivi, sia quantitativi sia qualitativi, con la conseguenza che quest’ultimo dovrà detrarre tali miglioramenti, così come stabilito dall’art. 748, c.c. In conclusione, la scelta della donazione d’azienda presta ancora il fianco a qualche dubbio interpretativo e spesso l’imprenditore, che spera di mettere a posto le cose per il tempo in cui avrà cessato di vivere e preservare l’attività aziendale da lungaggini processuali di cause successorie, non raggiunge il suo obbiettivo di tutelare il bene azienda: di qui, la scelta di strumenti alternativi recentemente introdotti dal Legislatore, qual è il patto di famiglia che stenta a decollare nonostante i buoni fondamenti dell’istituto che ha proprio a base la neutralizzazione del problema qui esposto.
Marino Mascheroni

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