Il limite alla distribuzione di utili nelle società di persona (titolari di farmacie)
M.Mascheroni
Il punto di partenza è il dictum dell’art. 2303 del codice civile che afferma. Non può farsi luogo a ripartizione di somme tra soci se non per utili realmente conseguiti. Se si verifica una perdita del capitale sociale, non può farsi luogo a ripartizione di utili fino a che il capitale non sia reintegrato o ridotto in misura corrispondente.
La norma ho lo scopo di salvaguardare l’integrità del capitale sociale non solo per la tutela dei creditori sociali, ma anche e soprattutto per assicurare un prudente svolgimento dell’attività societaria. Ma è usuale trovare il caso di farmacie in cui il così detto prelievo dei soci è ben più elevato rispetto al patrimonio netto sociale. Si determina in tal modo un credito della società nei confronti del socio che diviene debitore della società della quale egli è proprietario.
Estremamente eloquente è il contenuto di una datata sentenza della Cassazione (20 aprile 1995 n.4454) A norma dell’art. 2262 cod. civ., nella società di persone, il singolo socio ha diritto alla immediata percezione degli utili risultanti dal bilancio, dopo l’approvazione del rendiconto, a differenza di quanto avviene nelle società di capitali, in cui l’assemblea che approva il bilancio delibera sulla distribuzione degli utili (art. 2433 cod. civ.). Tuttavia, anche nella società di persone, il socio ha diritto alla percezione degli utili solo se effettivamente conseguiti (art. 2303 cod. civ.), con la conseguenza che è legittimo il comportamento dell’amministratore di una società in accomandita semplice, che, nella formazione del rendiconto annuale, uniformandosi a quanto previsto nella formazione del bilancio delle s.p.a., procede ad un accantonamento prudenziale di un importo a fronte della concreta possibilità dell’insorgere di un debito risarcitorio della società, a causa della chiamata in garanzia della stessa per pretesi vizi di una fornitura. (massima ufficiale).
Ora inversamente argomentando sul tema del diritto soggettivo alla percezione degli utili nelle società di persone è possibile sintetizzare quanto segue: mentre nelle società di capitali i soci non hanno alcun diritto ad incassare la propria quota di utili se non si forma una volontà maggioritaria dei soci a distribuire i dividendi con l’approvazione del bilancio annuale, nelle società di persone il socio detiene questo diritto soggettivo, non modificabile dalla diversa volontà dei soci; pertanto, se in una società di persone la maggioranza dei soci decide di destinare l’utile a riserva per effettuare eventuali investimenti in farmacia mentre un socio di minoranza desidera riceve la quota di utili di propria pertinenza, tale somma dovrà essergli erogata; se è vero che esiste nelle società di persone un diritto soggettivo del socio ad incassare la propria quota di utile, è altrettanto vero che lo stesso socio può rinunziare a tale diritto o comunque regolamentarlo; Il caso affrontato però è diverso è rappresenta una causa di “malpratica” frequente in farmacia cioè a dire che i soci di comune accordo prelevino più utili di quanti realmente realizzati o accantonati negli esercizi precedenti.
La Cassazione con recente ordinanza si è espressa proprio sul corretto inquadramento fiscale si è espressa sul caso de quo. Nell’ordinanza n. 15918 i giudici si esprimono su un caso riguardante una società in accomandita semplice confermando la legittimità dell’operato dell’Agenzia delle Entrate che, in sede di contenzioso tributario, aveva ricondotto ad una delle fattispecie di cui sopra il caso trattato dei prelevamenti societari. In particolare, indizi come la mancanza di corresponsione di interessi e la mancanza di adeguata capacità reddituale a restituire le somme prelevate dai soci sono stati considerati elementi sufficienti e determinanti per decidere che tali somme non potessero in alcun modo essere considerati dei prestiti dalla società ai soci ma redditi di lavoro autonomo tassabili tra i redditi diversi.
Ne discende la necessità di una corretta valutazione in sede di analisi del bilancio sociale del caso affrontato ove intervenire con dei correttivi onde evitare tassazioni impreviste che potrebbero essere pesantemente impattanti sulla salute economica della farmacia.