Negli ultimi anni si è assistito di frequente alla riqualificazione della cessione totalitaria di partecipazioni in cessione di azienda, cioè a dire che l’Agenzia delle Entrate ha spesso interpretato la cessione totalitaria di partecipazioni come una simulazione evidente della cessione di azienda. Spostandoci sul campo farmacia è oramai usueto che vengano cedute le quote societarie di società titolari di farmacie soprattutto ai grandi gruppi anziché cedere la farmacia direttamente. Il risultato che si ottiene è il medesimo, ma la tassazione ben differente.
La cessione di farmacia è soggetta ad imposta di registro del 3% sul valore, la cessione di partecipazioni è soggetta ad imposta fissa di €. 200,00 se poi ci spostassimo sul campo delle imposte dirette sappiamo che la Legge finanziaria per il 2025 ha riproposto (in modo definitivo) la possibilità di affrancamento delle plusvalenze relative a partecipazioni societarie con l’aliquota dell’imposta sostitutiva del 18% calcolato su perizia delle partecipazioni medesime, laddove nella cessione di azienda farmacia tale aliquota può salire sino a sfiorare il 40%.
Sull’argomento è intervenuta la recentissima ordinanza della Cassazione la n. 6060 del 2025 che in sintesi afferma che va esclusa la possibilità di riqualificare (ai fini dell’imposta di registro, ma diremmo noi col rischio ben più gravoso di estensione alle imposte dirette) la cessione del 100% delle partecipazioni in una cessione di azienda ex art. 20 del DPR 131/86, il tutto fondato sul presupposto che gli effetti giuridici della cessione di azienda non coincidono affatto con gli effetti giuridici relativi alla cessione di quote.
Meglio argomentando va escluso nella fattispecie un “abuso del diritto” che presuppone, infatti, che, se il contribuente ha conseguito un vantaggio fiscale indebito grazie all’utilizzo di una operazione in luogo di un’altra, l’operazione elusiva e l’operazione elusa conducano al medesimo risultato dal punto di vista economico e giuridico. Perciò la cessione totalitaria di partecipazioni non può essere “sostituita”, in chiave antiabuso, dalla cessione di azienda, avendo questi effetti giuridici del tutto diversi, come sopra accennato. (F. De Rosa)
La motivazione della Suprema Corte attiene alla considerazione che chi aliena un’azienda soggiace ad una disciplina legale, totalmente diversa dalla disciplina legale a cui è soggetto chi aliena le quote societarie. La cessione di azienda per esemplificare comporta la cessione di crediti, debiti e rapporti contrattuali dell’azienda ceduta e l’acquirente non è liberato dei debiti anteriori al trasferimento se i creditori non vi acconsentano. Di contro, con la cessione delle quote societarie, invece, il cessionario continua l’attività della società in cui è subentrato come socio ed i debiti della società gravano su di essa con totale liberazione del soggetto che ha ceduto la partecipazione, anche senza il consenso dei creditori. Sotto il profilo tributario, sussiste un regime di responsabilità solidale tra cedente e cessionario (art. 14 d.lgs. 472/1997), inesistente in caso di cessione di quote e tutto ciò solo per esemplificare in quanto la dissertazione potrebbe essere ben più articolata.
In estrema sintesi la Corte conclude secondo un orientamento consolidato che anche nel caso de quo (cessione del 100% delle partecipazioni) sebbene il risultato economico sia similare a quello ottenuto dalla cessione di azienda (monetizzazione dell’intero compendio aziendale) dal versante giuridico trattasi di due fattispecie diverse ed essendo in conseguenza vietato all’ADE la possibilità di riqualificare la cessione totalitaria di quote in cessione simulata o indiretta di azienda.
Marino Mascheroni