Il legittimario del donante può rinunciare all’azione di restituzione

Di Marino Mascheroni 01/09/2016

È legittima la dichiarazione dell’erede legittimario di rinuncia all’azione di restituzione verso i terzi acquirenti dei beni donati; la rinuncia all’atto di opposizione alla donazione rappresenta implicitamente una rinuncia all’azione di restituzione verso i terzi acquirenti dei beni donati.

Infine la dichiarazione di rinuncia all’azione di restituzione dei beni donati non è suscettibile di autonoma trascrizione nei Registri immobiliari, ma può essere annotata a margine della trascrizione della donazione in ordine alla quale sia formulata la dichiarazione di rinuncia.

Sono questi alcuni importanti principi, che fanno il punto della situazione in una materia assai complessa, espressi dal Tribunale di Torino.

Andiamo per gradi. Per comprendere la questione esaminata dal Tribunale torinese, occorre considerare che il Codice civile riserva ai “legittimari“, e cioè a determinati stretti congiunti del donante (poi defunto), una quota rilevante del patrimonio già posseduto dal defunto stesso (la “legittima“), da calcolare sulla somma del valore dei beni dal medesimo lasciati alla sua morte e del valore dei beni che questi abbia donato in vita. Se il diritto alla “legittima” viene violato (ad esempio, mediante donazione o disposizione testamentaria a favore di un soggetto diverso dai legittimari), i legittimari possono rivolgersi al giudice esperendo, verso il soggetto che ha beneficiato delle attribuzioni lesive della legittima, la cosiddetta “azione di riduzione”: in caso di vittoria, le donazioni lesive della legittima vengono “ridotte” a beneficio dei legittimari che hanno promosso l’azione.
Qualora tuttavia il patrimonio del soggetto convenuto con l’azione di riduzione sia incapiente (e cioè non abbia le risorse sufficienti per soddisfare le pretese dei legittimari), questi possono rivolgersi ai soggetti che si trovino ad avere la proprietà dei beni donati per essere aventi causa (acquirenti o donatari) delle attribuzioni lesive della quota di legittima: verso questi aventi causa può dunque essere promossa la “azione di restituzione”, con la quale i legittimari possono recuperare il valore che occorre per integrare la loro quota di legittima.
È, dunque, evidente che i beni oggetto di donazione sono di difficile commerciabilità. Per questo, sono stati introdotti nel Codice due importanti principi:
1. in caso di decorso di 20 anni da una donazione, l’azione di restituzione non è più percorribile
2. in caso di donazione, coloro che sarebbero i legittimari del donante possono esperire sia un atto (detto “di opposizione alla donazione“) con il quale impediscono al termine ventennale di decorrere sia, viceversa, un atto di rinuncia a questo diritto di “opposizione” (con l’effetto che, in tal caso, il ventennio decorre inesorabilmente).
È dunque controverso se questo atto di rinuncia all’atto di opposizione alla donazione comporti pure la rinuncia all’azione di restituzione; e, di conseguenza, se sia lecita una dichiarazione, oltre che di rinuncia all’atto di opposizione, anche di rinuncia all’azione di restituzione. Nel sancire l’annotabilità di questa rinuncia all’azione di restituzione nei Registri Immobiliari (a margine della trascrizione della donazione), il Tribunale di Torino compie due importanti passaggi:

  1. è possibile al legittimario del donante rinunciare, durante la vita di questi, all’azione di restituzione (senza infrangere il divieto di rinuncia all’azione di riduzione);
  2. e, ancor prima, è possibile intendere la rinuncia all’atto di opposizione alla donazione anche come rinuncia all’azione di restituzione.

Tutto cio’ e’ da non confondere con la così detta collazione. La collazione è l’atto con cui i figli, i loro discendenti e il coniuge del defunto, conferiscono alla massa ereditaria – intesa come l’insieme dei beni che saranno oggetto di eredità – tutti i beni mobili e immobili ricevuti a titolo di donazione dal defunto quando questi era in vita. Le donazioni fatte dal defunto quando era in vita possono infatti incidere anche significativamente sia sul complesso dei beni lasciati dal defunto, sia, di conseguenza, sull’entità delle porzioni di beni spettanti a ciascuno degli eredi. Con la collazione, la legge intende pertanto ripristinare, a favore dei parenti più stretti del defunto, l’uguaglianza di trattamento nella ripartizione del patrimonio ereditario.
Oggetto della collazione sono tutte le donazioni, sia dirette, sia indirette (come ad esempio la rinuncia del defunto a un debito verso un coerede).
Non si devono conferire le donazioni ricevute come compenso per i servizi resi, le spese di mantenimento, educazione, istruzione, quelle ordinarie per l’abbigliamento, i regali di nozze, quelle sostenute per malattia e le donazioni di modico valore fatte al coniuge.
Sono invece soggette a collazione le spese fatte per assegnazioni ai figli a causa di matrimonio, per avviare i figli all’esercizio di un’attività produttiva, i premi pagati dell’assicurazione sulla vita stipulata a favore dei figli e le spese fatte per il pagamento dei loro debiti.
Dalla collazione dei beni ricevuti per donazione risulta un aumento della massa ereditaria, alla quale si deve fare riferimento per stabilire le quote che spettano a ciascun erede, come se le donazioni fatte in vita dal defunto costituissero un anticipo sulla successione.
Tale aumento, però, va fatto soltanto in riferimento ai coeredi che siano i discendenti (figli e nipoti e pronipoti) o il coniuge del defunto perché le porzioni spettanti a tutti gli altri coeredi vanno calcolate senza tener conto della collazione.

Marino Mascheroni

Leggi altri articoli

Tutti gli articoli