L’imposizione fiscale nelle farmacie. (sintesi)

Di Marino Mascheroni 29/01/2025

L’imposizione fiscale nelle farmacie. (sintesi)


Le imposte dirette

(Irpef e Ires)

  • La tassazione diretta ed indiretta nella cessione di farmacia e nella cessione di quote di società titolare;
  • L’Inps;
  • Una possibilità reiterata nel tempo: la rivalutazione del valore delle partecipazioni;
  • La tassazione del conferimento di farmacia e l’affrancamento dell’avviamento;

Analizzati sinteticamente i principali istituti giuridici applicati alla realtà della farmacia in codesta seconda parte si analizzano i profili fiscali relativi, proprio per quella inscindibilità tra scelta giuridica e costo erariale dell’operazione da porsi. Non vi è una prevalenza di una componente sull’altra ma la indispensabile valutazione di combinazione tra i due aspetti; non si può formulare un disegno giuridico gestorio sulla farmacia senza valutarne gli aspetti fiscali né dare priorità al minor costo erariale rispetto alla sicurezza assicurata in ogni caso di specie da una ponderata scelta in diritto.

Le imposte dirette; si intendono dirette quando gli elementi che permettono di calcolare la base imponibile sono di tipo diretto, ossia quando la ricchezza viene prodotta o maturata, come ad esempio:

  • Il patrimonio
  • Incrementi di valore del patrimonio
  • Il reddito

La fiscalità della snc/sas:

  • Irpef in base all’utile della società pro quota (aliquote progressive dal 23 al 43%);
  • 3,9% di Irap calcolata sull’utile di impresa a fine anno;
  • 24% ca di Inps artigiani o commercianti a socio in base all’utile della società pro quota se i soci non sono farmacisti e enpaf piena per i soci farmacisti. Il socio accomandante non farmacista essendo socio di mero capitale non verso contribuzione previdenziale.

La tassazione della S.r.l. invece è questa:

  • 24% di Ires calcolata sull’utile di impresa a fine anno
  • 3,9% di Irap calcolata sull’utile di impresa a fine anno;
  • 26% di ritenuta sui dividendi distribuiti ai soci. (sono indi tassati i prelievi)
  • Inps/enfaf come la snc

L’art. 1, comma 441 della legge n. 205/2017 ha stabilito che le società di capitali, le società cooperative a responsabilità limitata e le società di persone, titolari di farmacia privata, rispettivamente con capitale maggioritario di soci non farmacisti o, nel caso di società di persone, con maggioranza di soci non farmacisti devono versare all’Enpaf un contributo pari allo 0,5% del fatturato annuo al netto dell’IVA.

La previdenza (cenni)

Con la Legge 4.8.2017, n. 124 e l’apertura ai non farmacisti della partecipazione a società (di persone o di capitali) titolari di farmacie si introducono nuove regole circa la contribuzione previdenziale dei soci operando dalla distinzione tra soci farmacisti o soci non farmacisti e che svolgano o non svolgano abitualmente e/o continuativamente attività (nella o per la farmacia

Occorre indi distinguere:

  • Soci “lavoratori” e soci “capitalisti” siano essi farmacisti o non farmacisti.

In linea generale si può affermare che i soci non farmacisti che prestino in via prevalente attività lavorativa nella società titolare sono tenuti alla contribuzione INPS –Gestione IVS Commercianti qualora però, per la stessa attività, non siano soggetti ad altra forma di previdenza obbligatoria. (particolarmente il socio accomandatario non farmacista e il socio non farmacista di società in nome collettivo, nonché il socio lavoratore non farmacista in S.r.l. titolare)In concreto, quindi, i soci-lavoratori di una società titolare di farmacie:

  • devono essere iscritti all’INPS (Gestione IVS-Commercianti) se non farmacisti iscritti all’albo professionale;
  • non devono essere iscritti all’INPS (dato che per tale attività scontano la contribuzione all’ENPAF) se farmacisti iscritti all’albo.

Di contro, difettandone il presupposto, i soci che non prestano attività prevalente a favore della società (c.d. soci “capitalisti”) non sono soggetti all’obbligo di iscrizione INPS.

I soci amministratori

I soci che siano amministratori della società – che percepiscano un compenso per tale carica – devono iscriversi alla Gestione separata dell’Inps e questo vale sia per gli amministratori farmacisti che non, in quanto tale Gestione riguarda oggettivamente tutte le attività di collaborazione coordinata e continuativa. L’obbligo scatta con riguardo all’anno di effettiva corresponsione del compenso per l’incarico di amministratore con il c.d. “criterio di cassa solo sull’ammontare della somma erogata per l’incarico.

  • La tassazione nella cessione di azienda farmacia

La tassazione nella vendita di farmaci quale impresa sconta l’IRPEF nel caso di ditta individuale e l’IRES nel caso che la proprietà della farmacia sia in capo ad una società di capitali secondo le aliquote ordinarie.

CEDENTE REGIME DI TASSAZIONE
IMPRENDITORE INDIVIDUALE
CHE CEDE L’UNICA AZIENDA FARMACIA
se la farmacia è posseduta da più di 5 anni, può scegliere tra:
a) regime NORMALE (aliquota piena Irpef o ires)
b) TASSAZIONE SEPARATA
se la farmacia è posseduta da meno di 5 anni, il regime di tassazione è quello normale
SOCIETÀ CHE CEDE LA FARMACIA se la farmacia è posseduta da più di 3 anni, può scegliere tra:
a) regime NORMALE
b) regime NORMALE-DIFFERITO
se la farmacia è posseduta da meno di 3 anni, il regime di tassazione è quello normale

Per il cedente:

Appare meglio comprensibile il funzionamento con un esempio numerico. Supponiamo che per la cessione di farmacia il titolare abbia realizzato nell’anno una plusvalenza (valore di cessione circa) di 1000.000 euro.
Il biennio da prendere in considerazione per determinare l’aliquota media è dunque formato dai due anni precedenti. Ipotizziamo che egli abbia conseguito nei predetti anni i seguenti redditi
– reddito 1 anno precedente: 85.000 euro
– reddito 2 anno precedente: 75.000 euro
Il reddito medio sarà, dunque: (85.000 + 75.000) / 2 = 80.000Applicando l’aliquota dovuta su 80.000 euro otteniamo un’imposta pari ad euro: 27.300
L’aliquota media applicabile alla plusvalenza di 1000.000 euro sarà pari a 34,12% (27.300 x 100 / 80.000)

Quindi avremo:

PLUSVALENZA TASSABILE in TAX SEPARATA 1.000.000   ALIQUOTA 34,12%   IMPOSTE PER VENDITA FARMACIA €. 341.000

TASSAZIONE NORMALE (FARMACIA POSSEDUTA DA MENO DI 5 ANNI)

PLUSVALENZA 1000.000,00 ALIQUOTA 42,29% – IMPOSTE PER VENDITA FARMACIA €.423.000

Per l’acquirente:

Imposta di registro sul valore di mercato (3%) il valore dichiarato nell’atto.
o (in mancanza o se superiore) il corrispettivo pattuito costituiscono “solo” la base imponibile “provvisoria” Laddove tale base imponibile “provvisoria” si rivelasse, in sede di controllo ex co. 4 dell’art. 51, non coerente rispetto al valore di mercato dell’azienda
l’amministrazione finanziaria procederebbe a rettificare la base imponibile su cui era stata provvisoriamente liquidata l’imposta di registro pari al 3%.

Per approfondire:

La “Inversa Trasformazione”: da società titolare di farmacia ad impresa individuale.

Il dibattito sulla trasformazione diretta di società di persona titolare di farmacia (ma anche semplicemente una società di persone) in impresa individuale o, ancor meglio in titolarità individuale di farmacia anche alla luce della oramai datata sentenza 496/2015 della Suprema Corte che ha ritenuto non sussistere in senso stretto e tecnico “trasformazione” il migrare da un ente collettivo ad un’impresa individuale, è ancora produttivo di disquisizioni eterogenee nel dibattere giuridico e pur anco giuridico- fiscale anche se si potrebbe già da ora asserire che in codesto ultimo ambito vi è una più evidente linearità sulla non imposizione dell’operazione ravvisandosi così uno dei numerosi casi di “scollamento” tra visione prettamente giuridica e visione tributaria.

È opportuna una breve sintesi sulla casistica de quo:

  1. a) Morte di uno dei due soci in una società titolare di farmacia in cui pur assumendosi l’obbligo di ricostruire la pluralità dei soci entro i sei mesi previsti dall’art. 2272 c.c., il socio superstite opti per la liquidazione degli eredi del socio defunto ai sensi dell’art. 2284 c.c. b) Cessione da parte di un socio all’altro dell’intera sua quota di partecipazione ovvero recesso (o esclusione) di uno dei due soci di una società titolare di farmacia senza in entrambi i casi costituzione di una S.r.l. a socio unico.

L’art. 2272 c.c. deve essere armonizzato con il dettato dell’art. 7 della Legge 362/1991 (Norme di Riordino del Settore Farmaceutico) laddove si afferma che a seguito di acquisto a titolo di successione di una partecipazione in una società di cui al 1 comma (s.n.c. o s.a.s. o società di capitale.) titolare di farmacia, qualora vengano meno i requisiti di cui al secondo periodo del comma 2 l’avente causa deve cedere la sua partecipazione nel termine di sei mesi dalla denuncia di successione. L’incipit dell’art. 2284 c.c. non lascia spazio a diversa collocazione interpretativa. “Salvo contraria disposizione del contratto sociale, in caso di morte di uno dei soci, gli altri devono liquidare la quota agli eredi, a meno che preferiscano sciogliere la società ovvero continuarla con gli eredi stessi e questi vi acconsentano”. Necessariamente proseguendo sul punto focale che si vuole ivi sviluppare, la domanda che ci si deve porre, nell’ipotesi su accennate è se sia possibile mutare la forma organizzativa imprenditoriale (da società di persone a ditta individuale) senza dovere utilizzare il procedimento di liquidazione della società. Nel regime di neutralità fiscale, che qui accenniamo per evidenziare il problema fiscale della trasformazione inversa, di cui all’ articolo 176, i conferimenti di aziende effettuati tra soggetti residenti nel territorio dello Stato nell’esercizio di imprese commerciali non costituiscono mai realizzo di plusvalenze o minusvalenze. Tuttavia, il conferente deve assumere quale valore della partecipazione ricevuta l’ultimo valore fiscalmente riconosciuto dell’azienda conferita e il soggetto conferitario subentra nella posizione di quello conferente in ordine agli elementi dell’attivo e del passivo dell’azienda stessa. Con tale ultima locuzione si vuole intendere che la conferitaria deve recepire gli stessi valori fiscali del conferente in relazione a ciascun singolo bene dell’azienda conferita. Si tratta, dunque, di un regime di doppia sospensione d’imposta che consente sia al conferente che alla conferitaria di recepire nelle proprie scritture contabili i maggiori valori civili senza alcuna conseguenza dal punto di vista fiscale.

La trasformazione involutiva e orientamenti della giurisprudenza: si è visto che il venire meno della pluralità dei soci, quando si protrae per un periodo superiore a sei mesi, (morte, cessione delle intere partecipazione, recesso o esclusione) costituisce una delle cause che comportano lo scioglimento di una società di persone. Spesso, tuttavia, accade che il socio unico prosegua l’attività commerciale sotto forma di impresa individuale (anche se l’attuale normativa per- metterebbe il ricorso alla S.r.l. a socio unico) ed è questo il fulcro del nostro volere argomentare. Il fenomeno della cosiddetta trasformazione involutiva è molto frequente nella pratica commerciale, le tre ipotesi menzionate e la tipicità della normativa attuale che vuole il socio qualificato (idoneo o, meglio, non incompatibile) rende nel settore della farmacia l’ipotesi presa in considerazione molto più frequente che in altri casi: si pensi solo al caso della morte di un socio e alla mancanza di altri eredi e alla presenza di eredi incompatibili. È necessario, però, capire se questa operazione rappresenti una vera e propria trasformazione, cioè un’ipotesi di riorganizzazione societaria fiscalmente neutrale, o una cessione di azienda al socio superstite con conseguente realizzo di plusvalenza et indi tassabile, come qualche autore ha sostenuto. Nel senso della prima ipotesi si è per esempio espressa la Commissione tributaria centrale (sentenza n. 3639 del 30 giugno 1998) che, in un caso di recesso del socio di società in nome collettivo e conseguente scioglimento della società ai sensi dell’articolo 2272 del codice civile, ha dichiarato che si era realizzata una trasformazione di società in impresa individuale e non una cessione di azienda. Gli orientamenti prevalenti della giurisprudenza sembrano riconoscere la neutralità fiscale dell’operazione. Il passaggio da società a impresa individuale è stato infatti qualificato come trasformazione anche dalla Cassazione con la sentenza 16 marzo 1996, n. 2226. In quell’occasione, la suprema Corte ha statuito che “con il venir meno della pluralità dei soci, la società semplice, composta da due soci, perde il carattere societario e si trasforma in impresa individuale, con la concentrazione della titolarità dei rapporti – già facenti capo alla società – nel socio. Ci viene altresì in aiuto uno Studio del C.N.N del 2015 che sostiene ed argomenta la indubitabile tesi della neutralità fiscale della trasformazione involutiva consistendo essa in sostanza di una sorta di trasformazione atipica Anche l’Amministrazione finanziaria, con la circolare n. 54/E del 19 giugno 2002, accoglie la tesi della neutralità fiscale. In quella circostanza, è stato, infatti, osservato come “lo scioglimento della società di persone a causa della mancata ricostituzione della pluralità dei soci non dia luogo ad alcuna emersione di plusvalenza imponibile in relazione ai beni oggetto dell’attività d’impresa, a condizione che il socio superstite continui l’attività sotto forma di ditta individuale e mantenga inalterati i valori dei beni “. Se dunque viene mantenuta la continuità dei valori iscritti in bilancio, l’operazione non genera plusvalenze. Tuttavia, per completezza occorre rilevare che il problema ivi dibattuto nasce dalla considerazione che la tesi della trasformazione involutiva presenta alcuni profili critici. Sia sul piano civilistico che sul piano fiscale, infatti, la trasformazione sembra possibile solo nel caso di soggetti collettivi (e non di persone fisiche). La trasformazione da un tipo societario a un altro presuppone del resto una continuità soggettiva. In assenza di tale continuità, derivante dall’accordo tra i soci, sarebbe dunque più corretto parlare di scioglimento e ricostituzione, più che di trasformazione. L’articolo 58 del Tuir sulle plusvalenze (già articolo 54, comma 1, lettera d) non può del resto applicarsi in tutti i casi in cui l’azienda passa all’unico socio, che continua l’attività sotto forma di impresa individuale. La finalità dell’articolo citato è, infatti, quella di tassare la conclusione del ciclo produttivo. (G. Palumbo) Tale conclusione non può però verificarsi laddove il socio superstite continui l’attività aziendale. (CNN 545/14) In tal caso, infatti, non si modifica la destinazione dei beni dell’azienda, che restano destinati all’esercizio d’impresa. Con l’uscita del socio receduto, (o agli eredi del socio premorto) inoltre, gli viene riconosciuta una somma di denaro pari alla quota parte del valore dell’azienda (in base ai valori correnti). Una parte di patrimonio, quindi, viene così già assoggettata a tassazione (in capo al socio receduto/ cedente o agli eredi). Tassare l’intera plusvalenza al momento dell’assegnazione dell’azienda al socio che prosegue l’attività, quindi, comporterebbe una duplicazione d’imposta, almeno per quanto riguarda il valore già riconosciuto al socio receduto. La circolare n. 54/E del 2002 accoglie, infatti, tali considerazioni, escludendo, come detto, il verificarsi di plusvalenze in presenza del trasferimento dei beni al socio superstite, sempre che:

– il socio superstite prosegua l’attività di impresa; – i valori fiscali di carico dei beni siano gli stessi già riconosciuti in capo alla società.

Resta ferma ben, tuttavia, la possibilità per l’unico socio di continuare l’attività in forma di ditta individuale o di società a responsabilità limitata a socio unico.

Solo nel caso in cui il socio non continui l’attività imprenditoriale, si verifica dunque un’assegnazione dei beni al socio, con emersione e tassazione delle plusvalenze latenti.

  • La tassazione nella cessione di partecipazioni: Art. 68, co. 6 del TUIR

La base imponibile per la tassazione sulla cessione di partecipazioni è data dalla “differenza tra il corrispettivo percepito ovvero la somma od il valore normale dei beni rimborsati ed il costo od il valore di acquisto assoggettato a tassazione, aumentato di ogni onere inerente alla loro produzione. Compresa l’imposta di successione e donazione, con esclusione degli interessi passivi .

Le plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni, possedute dalle persone fisiche che non svolgono attività d’impresa hanno un preciso regime di tassazione. A partire dal 1° gennaio 2019 le persone fisiche non imprenditori, gli enti non commerciali e non residenti scontano imposta sostitutiva del 26% sulla plusvalenza.

Estrema e significa importanza nell’ambito della tassazione sulla cessione di partecipazioni  deve essere data dalla previsione di cui all’ Articolo 2, comma 2, D.L. 282/2002, convertito, con modificazioni, dalla L. 27/2003,  partecipazioni in società non quotate, posseduti alla data del 1° gennaio 2022, che prevede:

La possibilità per rivalutare partecipazioni non negoziate su mercati regolamentati: indi anche quote di società titolari di farmacia: si prevede, la rideterminazione dei valori di acquisto delle partecipazioni non negoziate in mercati regolamentati posseduti alla data  del 1 gennaio successivo alla costituzione societaria solo a condizione che il versamento dell’imposta sostitutiva (prevista nell’aliquota unica del 16% * aliquota attuale*) Le partecipazioni interessate alla rivalutazione sono quelle possedute da persone fisiche per operazioni estranee all’attività d’impresa (nonché per le società semplici, società ed enti ad esse equiparate di cui all’articolo 5 del TUIR, enti non commerciali per i beni che non rientrano nell’esercizio d’impresa commerciale e soggetti non residenti senza stabile organizzazione in Italia). Sono pertanto interessati alla disposizione agevolativa:

  • le persone fisiche (soci di società titolari di farmacia), per le operazioni che non rientrano nell’esercizio dell’attività d’impresa; le società semplici ed i soggetti equiparati ex articolo 5 del TUIR come nel caso de quo;
  • gli enti non commerciali, se l’operazione da cui deriva il reddito non è effettuata nell’esercizio degli stessi dell’attività di impresa;
  • i soggetti non residenti, senza stabile organizzazione in Italia, salve le previsioni delle Convenzioni contro le doppie imposizioni che ne escludano l’imponibilità in Italia;
  • la circolare dell’Agenzia Entrate del 27 marzo 2008, n. 28/E ha precisato che possono essere oggetto di rideterminazione del costo o valore di acquisto anche le partecipazioni intestate a società fiduciaria, a condizione che il fiduciante rientri tra i soggetti sopra indicati. In particolare, la predetta normativa permette di rivalutare le partecipazioni, detenute in società non quotate in mercati regolamentati, a condizione che venga redatta ed asseverata la perizia di stima sul valore delle medesime quote e versata l’imposta sostitutiva stabilita nella misura dell’16% in relazione alle partecipazioni possedute.
  • la cessione del 100% delle partecipazioni, usufruendo di questa reiterata disposizione rappresenta indi una forma fiscalmente molto agevolata che determina sebbene in modo indiretto la cessione della farmacia attraverso la vendita delle quote possedute anziché dell’azienda farmacia. la norma è comunque soggetta ad approvazione annuale normalmente nella Legge annuale di bilancio.
  • La tassazione nel conferimento di farmacia
  • Regime fiscale del conferimento ed eventuale affrancamento avviamento

CONFERIMENTO DI AZIENDA – IMPOSTE DIRETTE

  • Regime di neutralità ex art. 176 TUIR ordinariamente applicabile per il conferimento di azienda tra imprese commerciali residenti

Condizioni:

  • gli elementi attivi e passivi costituenti l’azienda sono trasferiti in continuità di valori fiscali la partecipazione ricevuta dalla conferente è assunta al valore fiscale dell’azienda conferita.

La possibilità» di affrancare» (l’avviamento)

ll testo normativo di riferimento è l’art. 176 del TUIR che recita: “

In luogo dell’applicazione delle disposizioni dei commi 1, 2 e 2-bis, la società conferitaria può optare, nella dichiarazione dei redditi relativa all’esercizio nel corso del quale è stata posta in essere l’operazione o, al più tardi, in quella del periodo d’imposta successivo, per l’applicazione, in tutto o in parte, sui maggiori valori attribuiti in bilancio agli elementi dell’attivo costituenti immobilizzazioni materiali e immateriali relativi all’azienda ricevuta,(quindi anche l’avviamento) di un’imposta sostitutiva dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, dell’imposta sul reddito delle società e dell’imposta regionale sulle attività produttive, con aliquota del 12 per cento sulla parte dei maggiori valori ricompresi nel limite di 5 milioni di euro, del 14 per cento sulla parte dei maggiori valori che eccede 5 milioni di euro e fino a 10 milioni di euro e del 16 per cento sulla parte dei maggiori valori che eccede i 10 milioni di euro. I maggiori valori assoggettati a imposta sostitutiva si considerano riconosciuti ai fini dell’ammortamento a partire dal periodo d’imposta nel corso del quale è esercitata l’opzione.

  • Per approfondire l’art. 20 del TU imposta di registro

Attualmente il testo vigente dell’art. 20 dispone:

«L’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparentesulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi».

Il testo esplicita, dunque, quanto tradizionalmente sostenuto in dottrina con riguardo alla precedente formulazione dell’art. 20, che non consentirebbe nell’interpretazione dell’atto presentato alla registrazione, ai fini della sua corretta tassazione, il ricorso ad elementi extratestuali e ad atti collegati (salvo specifiche disposizioni), in quanto l’imposta di registro deve essere applicata sulla base degli effetti giuridici, riconducibili allo schema negoziale adottato dalle parti ed emergente dall’atto stesso. (fondazione italiana del notariato).

La problematica poteva ben nascere propriamente nella casistica oramai tipica della cessione della totalità di partecipazioni di farmacia post conferimento, onde “simulare una cessione di azienda” attraverso la cessione totalitaria della partecipazione al fine di evitare per il cedente la maggiore e più consistente tassazione dando origine ad un così detto “abuso del diritto”.

L’abuso del diritto in materia tributaria è un istituto di origine giurisprudenziale e viene individuato in quelle operazioni prive di interesse economico che l’impresa mette in atto con l’obiettivo principale di ottenere risparmi di imposta attraverso l’utilizzo distorto di atti giuridici.

Indi conferire una farmacia in una società per poi cedere immediatamente la totalità delle quote al fine di simulare una vendita di farmacia ma utilizzando lo strumento giuridico della cessione di partecipazioni per “risparmiare” in modo consistente imposte prefigura abuso? L’art. 20 T.U.R. ha sempre rappresentato una delle disposizioni normative più controverse dell’ordinamento tributario, estremamente utilizzata dal Fisco al fine di disconoscere, sul piano fiscale, gli effetti giuridici tipici di certi atti presentati per la registrazione, modificandone il contenuto in un più articolato negozio giuridico complessivo sostenendo l’utilizzo di un nome iuris di un contratto o una serie di atti al fine di simularne un altro, al solo fine di agevolare una minore tassazione, con conseguente oneroso impatto ai fini della tassazione.

Ora senza entrare nella complessa dinamica degli orientamenti dottrinali e soprattutto giurisprudenziali a porre fine al dibattito sulla complessa evoluzione normativa dell’art. 20 è intervenuta la Corte Costituzionale con sentenza n. 158 del 21 luglio 2020 disponendo tra l’altro che,

  • l’art. 20 T.U.R. non ha funzione antielusiva e non consente di per sé contestazione nel senso dell’abuso del diritto;
  • l’imposta di registro è un’imposta d’atto e deve essere applicata secondo la capacità contributiva recata dall’atto presentato per la registrazione, senza poter trarre elementi indiziari extra testuali di una differente “causa reale” del negozio giuridico, meritevole di tassazione in forma più onerosa;
  • l’art. 20 T.U.R. nella vigente formulazione è norma del tutto in linea con i principi costituzionali di uguaglianza e di capacità contributiva;
  • al contribuente, anche in relazione a fattispecie rilevanti ai fini dell’imposta di registro, non è preclusa una legittima pianificazione fiscale, in linea con i principi del diritto interno e dell’Unione Europea.

Per approfondire

Le influenze tributarie sulle scelte civilistiche: il caso del recesso societario

Nel nostro ordinamento giuridico esistono numerosi istituti che non vengono utilizzati come si vorrebbe a cagione dell’elevato costo fiscale che induce il soggetto ad avvalersi di altre fattispecie snaturando così il rapporto giuridico sottostante. Il costo erariale è tale, a volte, da inficiare e influenzare i rapporti costringendo il ricorso a figure non sempre parallele per il caso proprio.

Qui si vuole analizzare il rapporto che esiste tra l’istituto del recesso societario e la cessione di partecipazioni sociali dove la differenza di tassazione il più delle volte (soprattutto nell’ambito del diritto farmaceutico che trattiamo) rende appunto il recesso del socio un istituto di tipo secondario- periferico.

L’articolo 2473 c.c. recita: “L’atto costitutivo determina quando il socio può recedere dalla società e le relative modalità. In ogni caso il diritto di recesso compete ai soci che non hanno consentito al cambiamento dell’oggetto o del tipo di società, alla sua fusione o scissione, alla revoca dello stato di liquidazione al trasferimento della sede all’estero alla eliminazione di una o più cause di recesso previste dall’atto costitutivo e al compimento di operazioni che comportano una sostanziale modificazione dell’oggetto della società determinato nell’atto costitutivo o una rilevante modificazione dei diritti attribuiti ai soci a norma dell’articolo 2468, quarto comma.”

In merito alle società di persone l’art. 2285 c.c. riconosce al socio tre diverse ipotesi di recesso:

  • La prima è prevista allorché la società sia stata contratta a tempo indeterminato o per tutta la vita (presunta) di uno dei soci.
  • La seconda è la giusta causa, cioè a dire allorché il recesso costituisca una legittima reazione ad un comportamento vessatorio o illegittimo degli altri soci tale da incrinare la reciproca fiducia (amministrazione disonesta o eccessivamente disordinata) ma anche quando determinato da fatti soggettivi (malattia, età avanzata, trasferimenti)
  • Il recesso convenzionale: i patti sociali possono prevedere altre ipotesi di recesso oltre quelle stabilite dalla legge come la perdita del capitale sociale, la reiterata mancata distribuzione di utili etc.

Per effetto del recesso quindi il socio uscente avrà diritto a percepire una somma di denaro corrispondente al valore della sua quota. Il legislatore stabilisce espressamente che, se al momento del recesso vi sono operazioni in corso “il socio o i suoi eredi” partecipano agli utili e alle perdite inerenti alle operazioni medesime (art. 2289, 2° co, c.c.).

Dal versante fiscale:

La regola generale prevista dall’art. 1372 c.c. prevede, che il contratto sociale possa essere sciolto solamente per mutuo consenso o nei casi stabiliti dalla legge. Il recesso, quindi, presenta sempre il carattere dell’eccezionalità. (F. Migliorini)

In particolare, l’importo corrisposto al socio in occasione del recesso può risultare costituito da due componenti:

  • Rimborso della quota capitale. Spetta in proporzione alla quota di partecipazione detenuta nella società. Prevede il rimborso della quota di capitale sociale versato e la distribuzione delle riserve. Sia di utili che di capitale;
  • Differenza da recesso. Dovuta dal riconoscimento dell’eventuale maggior valore economico del complesso aziendale alla data dello scioglimento del rapporto sociale, rispetto ai valori contabili del patrimonio.

L’Agenzia delle Entrate, con la R.M. n.64/E/08, ha affermato che l’importo spettante al socio recedente, corrispondente ad una frazione del capitale economico della società, risulta solitamente superiore al valore della corrispondente quota del Patrimonio netto contabile. Inoltre, viene indicato che tale differenza, generalmente definita “differenza da recesso”, può derivare dall’esistenza di plusvalenze latenti sui beni dell’attivo, da valori di avviamento (rilevanti nel caso di farmacia) e dalla quota parte degli utili in corso di maturazione alla data del recesso. In sintesi, l’importo corrisposto al socio in occasione del recesso risulta costituito da due componenti: Quota capitale e differenza da recesso.

Essa qualifica, quindi, quali “redditi da partecipazione” e pertanto redditi d’impresa (quantomeno nell’ipotesi in cui si receda da società di persone commerciali. Diversamente, in ipotesi di recesso da società semplici, il reddito che ne potrebbe eventualmente derivare sarebbe qualificabile nella categoria dei redditi diversi. Oppure nella categoria dei redditi rivenienti dall’esercizio di arti e professioni.

Importo da assoggettare a tassazione

Tale ultima disposizione definisce le modalità da seguire per determinare l’importo da assoggettare a tassazione in capo al socio recedente. A tal fine vanno poste a raffronto:

  • Le somme o il valore normale dei beni riconosciuti al socio per effetto del recesso;
  • Il costo fiscalmente riconosciuto della partecipazione detenuta dal socio medesimo.

La differenza positiva risultante da tale raffronto, derivando dalla partecipazione in una società di persone, assume natura di reddito d’impresa. Come tale deve essere tassata in capo al socio uscente secondo il generale principio di competenza che sottende alla determinazione di tale reddito.

Qualora tra la data di costituzione della società e la comunicazione del recesso da parte del socio siano trascorsi più di cinque anni, inoltre, tali redditi saranno assoggettati a tassazione separata, in applicazione della disposizione contenuta nell’articolo 17, comma 1, lettera l) del DPR n. 917/86. Salvo che il contribuente non opti per la tassazione ordinaria.

Si chiarisce con l’esempio che segue:

Socio Caio: 50%

Socio Tizio: 50%

Patrimonio Netto Societario: E. 100.000,00

Valutazione recesso: E. 500.000,00

Imposte Irpef su E. 400.000,00 ———- E. 165.000,00

Residuano al recedente: E.335.000,00

Tale somma è deducibile dal reddito della farmacia che subisce il recesso.

Compariamo con la cessione di quote che è ben altra cosa ma che porta al medesimo risultato, quello dell’uscita di un socio dalla compagine sociale. La cessione di partecipazioni è fattispecie non espressamente regolata dal codice civile, quindi occorre fare riferimento agli artt. 1470 e segg. disciplinano i contratti di vendita.

Il possesso di partecipazioni di una società attribuisce al socio una serie di diritti di natura amministrativa e patrimoniale. I diritti di natura amministrativa consentono al socio di partecipare alla vita societaria: partecipazione alle assemblee ecc. I diritti patrimoniale riguardano i diritti agli utili e quelli conseguenti alla liquidazione della società.

La cessione di partecipazioni presenta molteplici vantaggi che si possono individuare in:

– nella semplicità operativa e contabile dell’operazione atteso che l’operazione non comporta la modifica della struttura giuridica dei soggetti coinvolti;

– tassazione, a determinate condizioni, più favorevole rispetto alla cessione di azienda;

Nondimeno appare sicuramente opportuno che il contratto di cessione delle quote societarie venga redatto con la massima attenzione al fine di ridurre il rischio di possibili contenziosi fra le parti.

Infatti, qualora la cessione di una partecipazione avvenga fra soggetti economici differenti, nonostante la semplicità operativa dell’operazione di cessione, gli adempimenti preparatori all’operazione sono i medesimi dell’operazione di cessione d’azienda e consistono nella valutazione dell’azienda, nell’inserimento di particolari clausole di garanzia per il cessionario nel contratto ecc.

L’operazione di cessione di partecipazioni all’interno di un gruppo societario di regola avviene per finalità di carattere fiscale, organizzativo ecc..

Le motivazioni organizzative possono consistere nella volontà del soggetto economico di ottenere un controllo totalitario diretto, ovvero un controllo indiretto mediante, ad. es., una sub holding; a livello fiscale l’intento potrebbe essere quello di ottimizzare il carico fiscale mediante operazioni di arbitraggio fiscale nazionale ed internazionale attuato mediante la costituzione di gruppi.

Diversamente la cessione di partecipazioni al di fuori del gruppo di regola avviene al fine di reperire risorse finanziarie.

Come sopra accennato la cessione di partecipazione rappresenta di un’operazione con una natura semplificata; tuttavia, l’operazione richiede sovente la risoluzione di problematiche particolari volte a tutelare l’acquirente delle partecipazioni. Problematiche riscontrabili anche nel caso di cessione dell’azienda. Per tali ragioni il contratto di trasferimento della partecipazione contiene determinate clausole.

Fiscalmente: le leggi finanziarie che si susseguono offrono reiteratamente la possibilità di rideterminare il valore delle partecipazioni, pagando il 16% per le partecipazioni possedute alla data del 1° gennaio dell’anno in corso.

Compariamo le differenze tra recesso e cessioni di quote con un semplice stralcio di quello che potrebbe essere un atto notarile di recesso e uno di cessione di quote.

Recesso

…………………….. La collaborazione tra il socio A e il socio B si è resa impossibile dal continuo dissidio esistente et indi il socio B dichiara di recedere dalla società con effetto immediato. Ai fini della liquidazione della quota sociale del recedente si dichiara che essa ammonta ad euro 500.000,00. Conseguentemente il sig. A dichiara che la società continuerà con egli unico socio e che il capitale sociale spetterà ad egli per l’intero.

Si è visto che in tale caso il costo fiscale dell’operazione è di euro 165.000,00.

Comparazione cessione di quote

…………….…………. È intenzione del socio b di cedere l’intera sua quota sociale al sig. A e di cessare di far parte della società, ciò premesso il sig. b cede e vende al sig. Alla sua quota per il corrispettivo che le parti dichiarano di euro 500.000,00. Dopo la presente operazione il capitale sociale spetta interamente al socio A.

Facendo ricorso alla norma di rideterminazione del valore delle quote la tassazione è pari all’16% di E. 500.000,00 e quindi pari a euro 80.000,00 contro i 165.000,00 in caso di recesso.

Fattispecie ben diverse, tassazione una il doppio dell’altra, risultato sostanziale il medesimo.

Apparirebbe auspicabile una armonizzazione tra il legislatore “civilistico” e quello “tributario”. In materie irte di difficoltà e proliferazione di norme e orientamenti dottrinali e giurisprudenziali la combinazione dei due momenti, la sintesi civilistica e quella tributaria rende attesa una riforma che riporti il tutto in un quadro razionale non influenzato dal costo erariale, al fine di evitare che questo, obblighi il cittadino – contribuente a delle scelte che appaiono viziate o comunque non conformi alla sua volontà.

Marino Mascheroni

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

12.1 L’imposizione fiscale nella successione e donazione

 

Presupposto e finalità dell’imposta di successione.

Il presupposto dell’imposta sulle successioni e donazioni è dunque rappresentato dall’arricchimento patrimoniale del soggetto beneficiario per trasferimenti di beni e diritti che avvengano per:

  • successioni per causa di morte;
  • donazioni e patto di famiglia
  • liberalità tra vivi;
  • atti di trasferimento a titolo gratuito di beni e diritti;

Le aliquote:

Dal punto di vista dell’imposta sulle donazioni occorre ricordare che alle donazioni di azienda (farmacia o quote di società di farmacia) si applica l’imposta suddetta.

Senonché viene assicurata l’esenzione dall’imposta:

  • a condizione che il donatario, che deve essere obbligatoriamente un discendente del disponente, prosegua l’esercizio dell’attività d’impresa(o detenga il controllo della società) per almeno cinque anni dalla data del trasferimento (vedi art 1, co. 78 lett. a) Legge Finanziaria 2007 che ha introdotto nell’art. 3, Dlgs. 346/1990 il nuovo comma 4-ter).
  • Al riguardo, la già citata circolare 22 gennaio 2008, n. 3/E ha chiarito che tale requisito si riferisce al trasferimento d’azienda (o di un suo ramo), mentre la conservazione del controllo per 5 anni si riferisce al solo trasferimento di quote sociali o di azioni.
  • Si ricorda che, a seguito delle modifiche introdotte dalla Finanziaria 2008, l’esenzionedall’imposta sulle donazioni è estesa anche al caso in cui il donatario sia il coniuge (ovviamente devono essere rispettate le condizioni sopraesposte). In caso di mancato rispetto della condizione di proseguimento dell’attività per almeno 5 anni occorrerà versare l’imposta maggiorata di sanzioni pari al 30% e di interessi.
  • A tal proposito si rammenta che la recente risoluzione ministeriale del 23.11.2007, n. 341/E ha chiarito che, se il donatario effettua entro i 5 anni successivi alla donazione un conferimento di azienda in una società non viene ad essere violata la condizione di esenzione dall’imposta.
  • Nel caso in cui non operi l’esenzione o si verifichi causa di decadenza dalla medesima Assonime nella circolare n. 13 del 12/3/2007 afferma che la base imponibile della donazione di azienda è determinata dal valore dei beni e diritti dell’impresa al netto delle passività risultanti dalle scritture contabili senza considerare il valore dell’avviamento.

 

 

  • La tassazione nel patto di famiglia

Nella circ. 22.1.2008 n. 3, § 8.3.3, l’Agenzia delle Entrate afferma che l’agevolazione di cui all’art. 3 co. 4-ter del D.lgs. 346/960 (esenzione da imposte) che si:

 

applica esclusivamente con riferimento al trasferimento effettuato tramite il patto di famiglia, e non riguarda anche l’attribuzione di somme di denaro o di beni eventualmente posta in essere dall’assegnatario dell’azienda o delle partecipazioni sociali in favore degli altri partecipanti al contratto”, con la conseguenza che “tali ultime attribuzioni rientrano nell’ambito applicativo dell’imposta sulle successioni e donazioni”. Con riferimento alle sole quote di società di capitali residenti la norma esentativa richiede che esse siano in grado di garantire al discendente il “controllo” della società ai sensi dell’art. 2359 co. 1 n. 1 (maggioranza dei voti in assemblea)

Per le compensazioni pattizie si riassume:

 

  • Compensazioni operate dall’assegnatario dell’azienda (chi riceve la farmacia col patto)

 

Per quanto concerne le compensazioni operate dall’assegnatario dell’azienda (chi riceve la farmacia un figlio per esempio) a favore degli altri legittimari, si possono distinguere tre diverse fattispecie:

  • le compensazioni configurano una donazione operata dal beneficiario dell’azienda a vantaggio dei legittimari a cui il titolare ha attribuito la farmacia, l’aliquota deve essere calcolata sulla base del rapporto di parentela intercorrente tra beneficiario dell’azienda e beneficiari delle compensazioni; ovvero si applicano: – l’aliquota del 4%, con la franchigia di 1 milione di euro, per le compensazioni realizzate a favore del coniuge del disponente che sia anche ascendente dell’assegnatario dell’azienda; (madre dell’assegnatario),
  • l’aliquota dell’8%, senza alcuna franchigia, per le compensazioni realizzate a favore del coniuge del disponente, nel caso in cui esso non sia ascendente dell’assegnatario dell’azienda (a causa di un successivo matrimonio);
  • l’aliquota del 6%, con la franchigia di 100.000,00 euro (per ogni beneficiario), per le compensazioni realizzate a favore degli altri discendenti del disponente, fratelli dell’assegnatario dell’azienda;

 

  • Compensazioni operate dal disponente (titolare farmacia o quote) — Patto In primo luogo, nella stipula del patto di famiglia, qualora il disponente attribuisca alcuni suoi beni (diversi dalla farmacia o quote di essa, come immobili o denaro) agli altri legittimari non assegnatari dell’azienda, questo trasferimento sconta imposta di donazione, in quanto atto a titolo gratuito. Applicabile, in tal caso, l’aliquota del 4%, con la franchigia di 1 milione di euro per ogni beneficiario, poiché i soggetti legittimari sono il coniuge ed i figli del disponente.

 

  • I requisiti dell’esercizio quinquennale dell’azienda e del mantenimento del controllo.

Come accennato L’esenzione dall’imposta sulle successioni e donazioni di cui all’art. 3 co. 4- ter del D.lgs. 346/90 spetta a condizione che “gli aventi causa proseguano l’esercizio dell’attività d’impresa o detengano il controllo per un periodo non inferiore a cinque anni dalla data del trasferimento”. Condizione per l’applicazione dell’esenzione è che nel patto di famiglia (o in caso di donazione o successione) il beneficiario dell’agevolazione dichiari la volontà di continuare l’esercizio dell’azienda o di mantenere il controllo societario per almeno cinque anni. L’omessa dichiarazione configura causa di decadenza dal beneficio in parola. Nel caso in cui non potesse trovare applicazione l’esenzione su descritta o in caso di decadenza e l’imposta dovesse essere corrisposta in misura ordinaria, dovrebbero applicarsi le norme dettate dall’art. 2 co. 47 del DL 262/2006 per le donazioni ed i trasferimenti gratuiti. Di conseguenza, il trasferimento, al discendente, di un’azienda o di partecipazioni aventi valore eccedente (per ogni beneficiario) 1 milione di euro, comporterebbe il pagamento dell’imposta di donazione con l’aliquota del 4%.  Tuttavia, posto che il requisito del “controllo” è richiesto solo per le società di capitali, se ne potrebbe dedurre che il beneficiario delle quote di società di persone non sia tenuto a conservarle per un periodo minimo di tempo, diversamente da quanto accade per il beneficiario dell’azienda o delle partecipazioni di società di capitali. Parte della dottrina, tuttavia, ha escluso tale interpretazione, ritenendo che, per analogia con la disciplina sul trasferimento d’azienda, e per coerenza con la ratio del beneficio fiscale, anche il beneficiario di partecipazioni di società di persone debba mantenerne la titolarità (e, con esse la “gestione” dell’impresa trasferita per il tramite di esse) per almeno 5 anni.) La trasformazione in società di persone, da parte di società (di persone o capitali) le cui partecipazioni sono state acquisite mediante l’agevolazione, non dà luogo a decadenza dell’agevolazione a prescindere dal valore della quota di partecipazione assegnata al socio parimenti la trasformazione in società di capitali, da parte di società (di persone o capitali) le cui partecipazioni sono state acquisite mediante l’agevolazione non dà luogo a decadenza dell’agevolazione purché il socio mantenga o integri, nella società di capitali, una partecipazione di controllo ai sensi dell’articolo 2359, primo comma, n. 1), del codice civile.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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