QUADERNI DEL DIPARTIMENTO
DI ECONOMIA E DIRITTO FARMACEUTICO
DIRETTORE : Prof. M.Mascheroni
Nel nostro ordinamento giuridico esistono numerosi istituti che non vengono utilizzati come si vorrebbe a cagione dell’elevato costo fiscale che induce il soggetto ad avvalersi di altre fattispecie snaturando così il rapporto giuridico sottostante. Il costo erariale è tale, a volte, da inficiare e influenzare i rapporti costringendo il ricorso a figure non sempre parallele per il caso proprio.
Qui si vuole analizzare il rapporto che esiste tra l’istituto del recesso societario e la cessione di partecipazioni sociali dove la differenza di tassazione il più delle volte (soprattutto nell’ambito del diritto farmaceutico che trattiamo) rende appunto il recesso del socio un istituto di tipo secondario- periferico.
L’articolo 2473 c.c. recita: “L’atto costitutivo determina quando il socio può recedere dalla società e le relative modalità. In ogni caso il diritto di recesso compete ai soci che non hanno consentito al cambiamento dell’oggetto o del tipo di società, alla sua fusione o scissione, alla revoca dello stato di liquidazione al trasferimento della sede all’estero alla eliminazione di una o più cause di recesso previste dall’atto costitutivo e al compimento di operazioni che comportano una sostanziale modificazione dell’oggetto della società determinato nell’atto costitutivo o una rilevante modificazione dei diritti attribuiti ai soci a norma dell’articolo 2468, quarto comma.”
In merito alle società di persone l’art. 2285 c.c. riconosce al socio tre diverse ipotesi di recesso:
- La prima è prevista allorché la società sia stata contratta a tempo indeterminato o per tutta la vita (presunta) di uno dei soci.
- La seconda è la giusta causa, cioè a dire allorché il recesso costituisca una legittima reazione ad un comportamento vessatorio o illegittimo degli altri soci tale da incrinare la reciproca fiducia (amministrazione disonesta o eccessivamente disordinata) ma anche quando determinato da fatti soggettivi (malattia, età avanzata, trasferimenti)
- Il recesso convenzionale: i patti sociali possono prevedere altre ipotesi di recesso oltre quelle stabilite dalla legge come la perdita del capitale sociale, la reiterata mancata distribuzione di utili ect.
Per effetto del recesso quindi il socio uscente avrà diritto a percepire una somma di denaro corrispondente al valore della sua quota. Il legislatore stabilisce espressamente che se al momento del recesso vi sono operazioni in corso “il socio o i suoi eredi” partecipano agli utili e alle perdite inerenti alle operazioni medesime (art. 2289, 2° co, c.c.).
Dal versante fiscale:
La regola generale prevista dall’art. 1372 c.c. prevede, che il contratto sociale possa essere sciolto solamente per mutuo consenso o nei casi stabiliti dalla legge. Il recesso, quindi, presenta sempre il carattere dell’eccezionalità. (F. Migliorini)
In particolare, l’importo corrisposto al socio in occasione del recesso può risultare costituito da due componenti:
- Rimborso della quota capitale. Spetta in proporzione alla quota di partecipazione detenuta nella società. Prevede il rimborso della quota di capitale sociale versato e la distribuzione delle riserve. Sia di utili che di capitale;
- Differenza da recesso. Dovuta dal riconoscimento dell’eventuale maggior valore economico del complesso aziendale alla data dello scioglimento del rapporto sociale, rispetto ai valori contabili del patrimonio.
L’Agenzia delle Entrate, con la R.M. n.64/E/08, ha affermato che l’importo spettante al socio recedente, corrispondente ad una frazione del capitale economico della società, risulta solitamente superiore al valore della corrispondente quota del Patrimonio netto contabile. Inoltre, viene indicato che tale differenza, generalmente definita “differenza da recesso”, può derivare dall’esistenza di plusvalenze latenti sui beni dell’attivo, da valori di avviamento (rilevanti nel caso di farmacia) e dalla quota parte degli utili in corso di maturazione alla data del recesso. In sintesi, l’importo corrisposto al socio in occasione del recesso risulta costituito da due componenti: Quota capitale e differenza da recesso.
Essa qualifica, quindi, quali “redditi da partecipazione” e pertanto redditi d’impresa (quantomeno nell’ipotesi in cui si receda da società di persone commerciali. Diversamente, in ipotesi di recesso da società semplici, il reddito che ne potrebbe eventualmente derivare sarebbe qualificabile nella categoria dei redditi diversi. Oppure nella categoria dei redditi rivenienti dall’esercizio di arti e professioni.
Importo da assoggettare a tassazione
Tale ultima disposizione definisce le modalità da seguire per determinare l’importo da assoggettare a tassazione in capo al socio recedente. A tal fine vanno poste a raffronto:
- Le somme o il valore normale dei beni riconosciuti al socio per effetto del recesso;
- Il costo fiscalmente riconosciuto della partecipazione detenuta dal socio medesimo.
La differenza positiva risultante da tale raffronto, derivando dalla partecipazione in una società di persone, assume natura di reddito d’impresa. Come tale deve essere tassata in capo al socio uscente secondo il generale principio di competenza che sottende alla determinazione di tale reddito.
Qualora tra la data di costituzione della società e la comunicazione del recesso da parte del socio siano trascorsi più di cinque anni, inoltre, tali redditi saranno assoggettati a tassazione separata, in applicazione della disposizione contenuta nell’articolo 17, comma 1, lettera l) del DPR n. 917/86. Salvo che il contribuente non opti per la tassazione ordinaria.
Si chiarisce con l’esempio che segue:
Socio Caio: 50%
Socio Tizio: 50%
Patrimonio Netto Societario: E. 100.000,00
Valutazione recesso: E. 500.000,00
Imposte Irpef su E. 400.000,00 ———- E. 165.000,00
Residuano al recedente: E.335.000,00
Tale somma e’ deducibile dal reddito della farmacia che subisce il recesso.
Compariamo con la cessione di quote che è ben altra cosa ma che porta al medesimo risultato, quello dell’ uscita di un socio dalla compagine sociale. La cessione di partecipazioni è fattispecie non espressamente regolata dal codice civile, quindi occorre fare riferimento agli artt. 1470 e segg. disciplinano i contratti di vendita.
Il possesso di partecipazioni di una società attribuisce al socio una serie di diritti di natura amministrativa e patrimoniale. I diritti di natura amministrativa consentono al socio di partecipare alla vita societaria: partecipazione alle assemblee ecc.. I diritti patrimoniale riguardano i diritti agli utili e quelli conseguenti alla liquidazione della società.
La cessione di partecipazioni presenta molteplici vantaggi che si possono individuare in:
– nella semplicità operativa e contabile dell’operazione atteso che l’operazione non comporta la modifica della struttura giuridica dei soggetti coinvolti;
– tassazione, a determinate condizioni, più favorevole rispetto alla cessione di azienda;
Nondimeno appare sicuramente opportuno che il contratto di cessione delle quote societarie venga redatto con la massima attenzione al fine di ridurre il rischio di possibili contenziosi fra le parti.
Infatti qualora la cessione di una partecipazione avvenga fra soggetti economici differenti, nonostante la semplicità operativa dell’operazione di cessione, gli adempimenti preparatori all’operazione sono i medesimi dell’operazione di cessione d’azienda e consistono nella valutazione dell’azienda, nell’inserimento di particolari clausole di garanzia per il cessionario nel contratto ecc..
L’operazione di cessione di partecipazioni all’interno di un gruppo societario di regola avviene per finalità di carattere fiscale, organizzativo ecc..
Le motivazioni organizzative possono consistere nella volontà del soggetto economico di ottenere un controllo totalitario diretto, ovvero un controllo indiretto mediante, ad. es., una sub holding; a livello fiscale l’intento potrebbe essere quello di ottimizzare il carico fiscale mediante operazioni di arbitraggio fiscale nazionale ed internazionale attuato mediante la costituzione di gruppi.
Diversamente la cessione di partecipazioni al di fuori del gruppo di regola avviene al fine di reperire risorse finanziarie.
Come sopra accennato la cessione di partecipazione rappresenta di un’operazione con una natura semplificata; tuttavia, l’operazione richiede sovente la risoluzione di problematiche particolari volte a tutelare l’acquirente delle partecipazioni. Problematiche riscontrabili anche nel caso di cessione dell’azienda. Per tali ragioni il contratto di trasferimento della partecipazione contiene determinate clausole.
Fiscalmente: le leggi finanziarie che si susseguono offrono reiteratamente la possibilità di rideterminare il valore delle partecipazioni, pagando il 16% per le partecipazioni possedute alla data del 1° gennaio dell’anno in corso.
Compariamo le differenze tra recesso e cessioni di quote con un semplice stralcio di quello che potrebbe essere un atto notarile di recesso e uno di cessione di quote.
Recesso
…………………….. La collaborazione tra il socio A e il socio B si è resa impossibile dal continuo dissidio esistente et indi il socio B dichiara di recedere dalla società con effetto immediato. Ai fini della liquidazione della quota sociale del recedente si dichiara che essa ammonta ad euro 500.000,00. Conseguentemente il sig. A dichiara che la società continuerà con egli unico socio e che il capitale sociale spetterà ad egli per l’intero.
Si è visto che in tale caso il costo fiscale dell’operazione è di Euro 165.000,00.
Comparazione cessione di quote
…………….…………. È intenzione del socio b di cedere l’intera sua quota sociale al sig. A e di cessare di far parte della società, ciò premesso il sig. b cede e vende al sig. A la sua quota per il corrispettivo che le parti dichiarano di Euro 500.000,00. Dopo la presente operazione il capitale sociale spetta interamente al socio A.
Facendo ricorso alla norma di rideterminazione del valore delle quote la tassazione è pari all’16% di E. 500.000,00 e quindi pari a euro 80.000,00 contro i 165.000,00 in caso di recesso.
Fattispecie ben diverse, tassazione una il doppio dell’altra, risultato sostanziale il medesimo.
Apparirebbe auspicabile una armonizzazione tra il legislatore “civilistico” e quello “tributario”. In materie irte di difficoltà e proliferazione di norme e orientamenti dottrinali e giurisprudenziali la combinazione dei due momenti, la sintesi civilistica e quella tributaria rende attesa una riforma che riporti il tutto in un quadro razionale non influenzato dal costo erariale, al fine di evitare che questo, obblighi il cittadino – contribuente a delle scelte che appaiono viziate o comunque non conformi alla sua volontà.
Marino Mascheroni